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Rimini: Giornata Mondiale Igiene delle Mani

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RIMINI. Ricorre oggi, 5 maggio, la Giornata Mondiale sull’Igiene delle Mani, dedicata a celebrare l’importanza di tale pratica nell’ambito sanitario sia per gli operatori sia per i cittadini. Le pratiche per l’igienizzazione delle mani rientrano fra i sistemi di monitoraggio delle buone pratiche assistenziali utili a garantire la sicurezza dei pazienti e ad 11 anni dalla prima campagna di sensibilizzazione – intitolata “Save lives: Clean your Hands” promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, cui sono seguite importanti campagne della Regione Emilia Romagna – molti passi avanti sono statti fatti, in tutti i presidi romagnoli. Solo per citare l’esempio più significativo, come noto l’Ospedale “Infermi” di Rimini si è aggiudicata il riconoscimento europeo per l’applicazione di tali buone pratiche.

9 rimini bandierine

Grazia Antonella Tura e Nicol Marcatelli del Servizio Rischio Infettivo dell’Ospedale di Rimini.

Ma non per questo la guardia può essere abbassata. Perciò questa mattina in tutti e cinque gli ospedali della provincia di Rimini sono state svolte iniziative di sensibilizzazione a cura degli infermieri esperti nel rischio infettivo.

Gli stand, presso i quali erano disponibili campioni di gel idro-alcolico, oltre che materiali informativi e gadget, sono stati attivi in mattinata.

All’Ospedale “Franchini” di Santarcangelo ha avuto luogo la presentazione di un video sul tema creato dall’Unità Operativa Post Acuti di quello specifico Ospedale; all’Ospedale Infermi di Rimini presso il Piano Rialzato della scala A una “staffetta” tra tutte le unità operative, che in mezz’ora di tempo illustreranno come ognuna, nello specifico, ha messo in atto le buone pratiche per l’igiene delle mani, presentando anche i numerosi materiali e gadget. Ad esempio portachiavi, bandierine, pensierini scritti su foglietti (ad esempio “Contro l’influenza? Igiene delle mani a sufficienza” e così via…) che venivano consegnati alle persone che passavano in ospedale invitandole a provare a disinfettarsi le mani usando il dispenser, per mostrare che bastano davvero pochi secondi.

Nurse24.it


Infermieri, medici e personale sanitario in assemblea ad Enna

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ENNA. Ennesima assemblea sindacale della Fsi a Piazza Armerina sui rischi di chiusura che corre l’ospedale. Presenti 130 dipendenti tra medici, primari, infermieri, personale sanitario, ausiliari. Un’assemblea ”infuocata” per dire “no” ai tagli prospettati, al declassamento dell’ospedale rispetto all’Umberto I di Enna e ad una eventuale chiusura. A moderare l’incontro Maurizio Libro, segretario territoriale Fsi per l’Asp 5 di Enna, Pier Paolo di Marco dirigente sindacale Fsi. Presenti il direttore sanitario dott. Cassarà che ha risposto alle domande poste dai lavoratori. Intervenuti anche il direttore sanitario di presidio Dott. Cunzolo, l’on Luisa Lantieri, il sindaco di Piazza Armerina e in chiusura Calogero Coniglio Segretario territoriale regionale Fsi-Cni Sicilia. Il sindacato ha manifestato il timore che tutto venga riunito ad Enna.

“A dimostrazione che i tagli sono scelte scellerate, il sindacato chiama a raccolta tutti i lavoratori per dire no alla chiusura dei reparti – commenta Coniglio – Un’aula piena zeppa di operatori sanitari preoccupati per l’ospedale e per i suoi reparti. La scelta peraltro non è contestata soltanto dal sindacato. La cosa non va giù soprattutto alla gente ed il sindacato nel suo intervento si è fatto portavoce della salute dei cittadini piazzesi”.

Il direttore sanitario tranquillizza i presenti: ”Non ci sarà alcuno smembramento dell’ospedale, e nemmeno declassamento dell’ospedale ad ambulatori”. Ma sindacato e lavoratori non si fidano: sono già stati chiusi l’urologia, l’otorinolaringoiatria e l’ostetricia. “E’ una vergogna – continua Coniglio – Eppure qua c’è in gioco la salute e la vita stessa dei cittadini. Rivendichiamo a gran voce la sanità pubblica sul territorio ed invitiamo tutti a partecipare in massa”.

I lavoratori hanno lasciato il presidio, sperando che stavolta giungano vere garanzie ma già rendendo nota assieme alla Fsi l’intenzione di voler tornare a protestare se a breve non giungeranno notizie da Palermo.

“Abbiamo condotto la battaglia contro una sanità senza padrini e senza padroni, raccolto 65mila firme negli ospedali e piazze italiane e ricevuti da un’ampia delegazione parlamentare alla Camera dei Deputati depositando le firme e un documento proposta a tutela dei cittadini e lavoratori, per una sanità pubblica che garantisca salute e dignità ai cittadini – dicono il segretario Calogero Coniglio  e il responsabile di zona Fsi Maurizio Libro – E oggi siamo in prima fila per dire no alla chiusura, no al decreto Balduzzi, è stato tradito il Patto della salute. Le richieste del ministro Lorenzin sono inconcepibili perché mettono in discussione e a repentaglio l’assistenza sanitaria nei territori interni della Sicilia. I cittadini e lavoratori di Piazza Armerina non possono essere considerati di serie B. La regione si attivi affinché si attenzionino seriamente le difficoltà ed i disservizi con cui ci confrontiamo  quotidianamente”.

Nurse24.it

OSS escluso dal concorso perché diabetico!

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MODENA. Un Operatore Socio Saniario disoccupato è stato escluso da un pubblico concorso perché diabetico. Il medico competente non lo ha ritenuto idoneo per effettuare i turni di notte.

Da quando essere diabetici è sinonimo di inabilità dal lavoro? Uno strano sillogismo quello che ha privato un giovane modenese della possibilità di accedere al bando di selezione e che ha fatto infuriare non solo il diretto interessato, ma anche la Federazione Nazionale Diabete Giovanile.

Ne dà notizia Modenatoday.

Proprio l’associazione ha denunciato il fatto, spiegando dal proprio punto di vista l’assurdità del caso: “Lui ha tutte le carte in regola per lavorare, di giorno o di notte – dichiara Antonio Cabras, presidente Fdg – tra l’altro svolge anche attività agonistica ad alti livelli ed ecco perchè è stato già presentato un ricorso contro questa discriminante posizione del medico competente che si e’ dimostrata sorda ad ogni evidente confutazione scientifica”

“Questi episodi si ripetono ormai con impressionante frequenza nel nostro Paese – prosegue Cabras – dove le persone con diabete sono considerate una categoria a rischio. Non e’ cosi’ e non siamo noi a dirlo, ma la comunità scientifica internazionale. Tenuto sotto controllo, il diabete non presenta alcun problema e la persona con diabete deve avere gli stessi diritti di chi non deve confrontarsi con questa patologia, ivi compresa la difesa della dignità e del lavoro”.

“La limitazione in effetti mi ha automaticamente escluso dal bando – ha dichiarato il giovane modenese – che prevedeva anche la disponibilità ad effettuare turni di notte. Ho bisogno di lavorare, sono stanco di queste assurde discriminazioni”.

Nurse24.it

Operatore Socio Sanitario: prevenzione delle lesioni da decubito

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REDAZIONE. Senza ombra di dubbio l’Operatore Socio Sanitario (OSS) non agisce se prima non ha ricevuto indicazioni dalle figure professionali che lo subordinano: Infermieri e Medici in primis. E’ necessario che l’OSS collabori con tutta l’équipe sanitaria al fine di perseguire un unico obiettivo. Ciò vuole significare che anche l’OSS deve essere informato sulla patologia e sui progetti di recupero del paziente, sulle capacità residue e sulle attività che egli può compiere individualmente e quelle che invece deve assolutamente compiere con supervisione del personale.L’operatore prima di iniziare qualsiasi procedura deve sempre documentarsi sulla situazione del paziente, su quali sono le principali precauzioni da adottare durante l’igiene del malato, durante i sui trasferimenti, ecc.

Ad esempio se è un paziente allettato, in un reparto di ortopedia, sottoposto di recente a un intervento di arto-protesi all’anca, deve mantenere in scarico l’arto operato per un numero svariato di giorni, andrà mobilizzato con la massima cautela, onde evitare che carichi sull’arto durante l’igiene, andrà scrupolosamente seguito sulle posizioni da mantenere nel letto e sulle manovre da eseguire durante i trasferimenti.

L’OSS si deve attenere alle prescrizioni mediche ed infermieristiche. Il ruolo dell’OSS non è quindi da sottovalutare se si considera che è la figura che sta più tempo a contatto con il paziente.

Le principali attività dell’OSS sono: all’inizio della giornata procede con l’igiene personale del malato, deve con attenzione ispezionare la cute del paziente ed eventualmente riferire all’infermiere professionale eventuali anomalie, così da prevenire lesioni che potrebbero degenerare e arrecare danni alla salute del paziente.

Nella mobilizzazione bisogna fare in modo di posizionare il paziente in una posizione confortevole, aiutarlo e accompagnarlo nella fase del sollevamento del corpo. Le manovre devono essere delicate ma decise, non devono causare dolore al paziente. Evitare di stirare eccessivamente le strutture muscolari, tendinee, la cute con le parti lese, le articolazioni immobili.

Cercare di coinvolgere il paziente e farlo collaborare sempre se ci sono le capacità residue. Nei cambi di postura: evitare prese scorrette e poco sicure, al fine di non procurare infortuni a sé e al paziente. Valutare sempre la collaborazione del paziente e se lo stesso è completamente immobile oppure non collaborante, chiedere l’intervento di un terzo collaboratore. Informando il paziente sulle manovre da eseguire, si otterrà da esso maggiore collaborazione. Utilizzare eventuali ausili antidecubito.

Anche gli alimenti sono importanti. Spetta all’OSS dispensarla, invogliando il paziente ad assumere una corretta alimentazione, controllando che ci sia un corretto apporto di liquidi, carboidrati, proteine e vitamine.

A volte anche un sorriso, una parola gentile, una carezza è importante perché il paziente si senta come se fosse a casa sua.

Nurse24.it

Loro sono pronti e voi? Studenti di Infermieristica a Parma verso la laurea!

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PARMA. Gli studenti del terzo anno del Corso di laurea Infermieristica (A.A. 2015/16) dell’Università degli studi di Parma annunciano l’inizio dell’ultimo fase del loro percorso di studi attraverso un divertente video che sta girando da qualche giorno su YouTube.

A realizzarlo una sessantina di studenti infermieri originari di varie parti d’Italia che si sono messi in gioco e in mostra in una delle aule didattiche della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università parmense.

Tra gli ideatori dell’iniziativa goliardica i futuri colleghi Rosaria Giunta, Salvatore Corvino, Vittorio Convertino e Valentina Rizza, che ricordano ai lettori di Nurse24.it che… #noisiamopronti!

Li abbiamo incontrati in un apposito forum telefonico dal quale sono emersi importanti spunti di riflessione e momenti di confronto tra il mondo dei mass-media infermieristici, la realtà universitaria e quello che si troveranno ad affrontare dopo la laurea e l’abilitazione alla professione infermieristica (il lavoro, l’iscrizione all’Ipasvi, la possibilità di trasferirsi all’estero, i concorsi e gli avvisi pubblici in Italia, la P.Iva per i liberi professionisti e il rapporto con gli Operatori Socio Sanitari).

Rosaria, Salvatore, Vittorio e Valentina siete pronti a diventare Infermieri e a mettervi al servizio quotidiano di chi soffre?

Certo che sì – è stata la risposta unanime – abbiamo scelto questo corso perché sentiamo la necessità di metterci al servizio del cittadino, degli ammalati e dei loro familiari. E’ stato ed è un corso altamente formante, che ti sostiene non solo da punto di vista professionale, ma anche da quello umano.

Com’è l’offerta formativa dell’Università degli Studi di Parma?

L’Ateneo e il Corso di Laurea in Infermieristica ci offrono tanto, siamo soddisfatti del piano di studio, dei tirocini e del livello di preparazione complessiva. Dopo la laurea saremo sicuramente dei bravi professionisti, preparati, motivati, sempre al servizio del cittadino.

Sicuro che è tutto perfetto all’Università? Qualcosa non vi sembra che debba migliorare? Per esempio il corso vi sta preparando a quello che troverete nel mondo del lavoro e alla possibilità di lavorare all’estero o di diventare Infermieri Liberi Professionisti?

Ecco il tasto dolente. In effetti il corso di laurea in infermieristica sta provando, d’intesa con il Collegio Ipasvi e la cassa previdenziale Enpapi, a formarci sul mondo del lavoro extra-universitario, ma si potrebbe fare di più; noi stessi potremmo attivarci maggiormente per capire come funziona l’inserimento occupazionale post-laurea; crediamo che dovrebbe essere un lavoro di squadra e che i primi interessati dovremmo essere proprio noi studenti; comunque tutto sommato una infarinatura generale ce l’hanno fatta e crediamo ci saranno altri momenti formativi e informativi. Oggi andare a lavorare all’estero è diventato sempre più complicato, soprattutto per le barriere linguistiche. Sappiamo pure che in Italia ci sono tanti concorsi pubblici e che occorre entrare nelle graduatorie per sperare di lavorare in ospedali e centri di cura. Sulla libera professione conosciamo ancora poco, ma cercheremo di informarci meglio e di più.

Come l’Università di Parma vi sta preparando al rapporto di lavoro con i collaboratori più stretti degli Infermieri, ovvero con gli Operatori Socio Sanitari?

L’Università ci sta formando da tempo rispetto al rapporto di lavoro e di equipe con altri operatori e professionisti della salute, tra cui gli OSS, che come sono il personale di supporto degli Infermieri così come recita il nostro profilo professionale e la normativa di riferimento degli Operatori Socio Sanitari. Crediamo che un lavoro di squadra vada fatto e che le due figure, professionale e tecnica, possano bene interagire nell’interesse finale del cittadino sofferente e della sua famiglia. Conoscere le competenze degli OSS è importante per noi Infermieri, così pure è importante che gli OSS conoscano le nostre. Il corso di laurea si sta attivando per gli anni a venire per approfondire sempre di più questa tematica.

Per finire, quanto è “social” l’Università di Parma?

Sicuramente è uno degli Atenei italiani più vicino alle esigenze di informazione e comunicazione degli Studenti. L’Università di Parma e il Corso di Laurea in Infermieristica, che abbraccia più poli formativi, offrono strumenti didattici, informativi e formativi decisamente in linea con i dettami di immediatezza, chiarezza e semplicità dei social-media moderni; le capacità mediatiche di molti di noi fanno il resto; diciamo che non ci possiamo lamentare!

Grazie e in bocca al lupo per gli ultimi esami e per il futuro ingresso nel mondo del lavoro, al di là se scegliate l’Italia o l’estero.

Grazie a voi di Nurse24.it che tutti i giorni ci fornite notizie interessanti sulla professione infermieristica!

Nurse24.it

Falange recisa per errore a neonata: colpevole un OSS?

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Una neonata ha perso una falange e mezzo di un dito a causa della probabile imprudenza di un Operatore Socio Sanitario. Si tratta di una lavoratrice di una struttura pubblica in Piemonte che, mentre era intenta a recidere con delle forbici una fasciatura di contenimento di un accesso venoso (un butterfly collegato ad una flebo) collegata ad una venutola di una delle due mani, ha inavvertitamente reciso una parte di dito.

E’ accaduto nel Reparto di Neonatologia dell’Ospedale Civile di Alessandria. Trasportata d’urgenza al Regina Margherita di Torino, i medici hanno tentato di riattaccare la parte recisa ma c’è stato il rigetto e non c’è stato altro da fare. L’episodio risale a sabato scorso, due giorni dopo la nascita il 26 maggio.

La bambina è nata giovedì scorso e aveva avuto problemi di glicemia che avevano richiesto cure tempestive.

L’incidente è avvenuto sabato: per darle il latte artificiale l’operatrice avrebbe deciso autonomamente di toglierle l’ago della fleboclisi che era stato posizionato ad un dito. La flebo era tenuta ferma da alcuni cerotti; l’azione non prudente dell’OSS avrebbe portato al “taglio”.

La corsa all’ospedale torinese per tentare di ripristinare la funzionalità della mano non è andata a buon fine.

L’OSS è stata denunciata ai carabinieri per lesioni personali gravissime e colpose dal padre della bimba, di origine uruguayana come la moglie, mentre l’azienda ospedaliera, che ha espresso rammarico per la vicenda, ha segnalato l’accaduto all’autorità giudiziaria. La cartella clinica è stata subito sequestrata e inviata al magistrato.

Nurse24.it

Operatore Socio Sanitario: “la nostra figura è sottovalutata!”

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Trovare lavoro dopo tanti anni di occupazione saltuaria e rimanerne delusi. E’ accaduto a Lucia, 49 anni, Operatore Socio Sanitario, originaria dell’entroterra foggia trasferitasi in Friuli Venezia Giulia per un incarico a tempo determinato e dopo una dura selezione presso un Ospedale infantile di Trieste.

Ha conseguito il diploma da OSS a Foggia tra il 2003 e il 2004. Con lei abbiamo scambiato alcune chiacchiere: il suo è un mestiere che dopo il diploma iniziale ha pochi sbocchi formativi e lavorativi, lei vorrebbe che non fosse così e anche se è alle soglie dei 50 anni le piacerebbe approfondire di più alcune tecniche e perché no anche teorie scientifiche inerenti l’area assistenziale che compete alla sua figura di Operatore Socio Sanitario.

Lucia è un fiume in piena e lancia l’idea di ripensare a questa figura di supporto dell’Infermiere, a cui spesso vengono attribuiti incarichi che non rientrano nel suo “profilo” (Accordo Conferenza Stato-Regioni del 22 febbraio 2001), con rischi di natura legale non trascurabili. In molti casi vengono sotto-utilizzati e rilegati ad interventi di routine che umiliano la persona e il “professionista” che c’è dietro. “le nostre competenze devono essere più chiare!”.

Le abbiamo posto alcune domande, alle quali l’interessata ha risposto in maniera precisa e concisa, chiarendo che non sempre nel profondo Nord la sanità è migliore di quella presente nel profondo Sud.

Scopriamo assieme cosa ci ha detto.

Da Foggia a Trieste: come è stata l’accoglienza dei colleghi in terra friulana?

Accoglienza non delle migliori, non tutte sono disponibili,gentili e professionali. Professionalità zero.

Quali sono le principali differenze nell’approccio assistenziale che hai notato tra Puglia e Friuli Venezia Giulia?

Nessuna, molte cose si fanno meglio al Sud. Delusa su tutti i fronti.

Difficile per una meridionale come te ambientarti in una terra che molti giudicano ostile?

Ostile è dir poco, sopratutto con noi del sud. È stato molto difficile, non poche volte mi sono pentita di essermi allontana così tanto da casa, con l’illusione che si potesse lavorare meglio nel civilissimo Nord.

Qual è e com’è il rapporto con gli Infermieri nel tuo reparto?

Di natura razzistica, fanno molto mobbing, non accettano ancora la figura dell’Oss. Si sentono stupidamente minacciati da noi. Il reparto Nido, per anni gestito da puericultrici, è stato interdetto agli Operatori Socio Sanitari. 

Hai lavorato anche in Emilia Romagna. Come giudichi questo territorio?

Per quel poco di esperienza che ho fatto, mi sono trovata divinamente, diciamo che c’ho lasciato il cuore, si lavora benissimo. Ci ritornerei volentieri. È un territorio favorevole e molto ben organizzato.

Se ritornassi a scuola cosa cambieresti della parte formativa dell’OSS?

Il corso di formazione regionale, che ho seguito tra il 2003 e il 2004, era di 1200 ore; è stato abbastanza completo e valido. Sicuramente non si finisce mai d’imparare, non sempre ho potuto mettere in pratica tutto ciò che ci è stato insegnato, perché non si è mai capito fino in fondo quali fossero le giuste competenze di questa figura. In base al luogo e alle gestioni si agiva, mortificando così non soltanto la professionalità, ma anche le singole capacità intellettive e umane. La preparazione ricevuta in quel di Foggia non è inferiore ad altre, anzi; oggi si assiste a corsi-farsa sul territorio nazionale che formano forse meno di prima, ma anche a corsi fatti benissimo che insegnano a gestire il paziente anche in autonomia e a domicilio.

Grazie Lucia, resisti e buon lavoro!

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Di chi le responsabilità per il dito reciso alla neonata di Alessandria?

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Lo scorso 28 maggio all’Ospedale Civile di Alessandria una neonata ha perso un dito in seguito ad un errore commesso da un Operatrice Socio Sanitario del reparto. Alla piccola era stata eseguita una fleboclisi per sopperire ad una carenza di glucosio. Al momento di rimuove l’ago butterfly l’operatrice OSS (e non l’infermiera come erroneamente indicavano alcuni articoli di giornale), nell’atto di tagliare la garza di fissaggio dell’accesso venoso le ha reciso un dito. In molti si sono chiesti: di chi è la responsabilità dell’atto colposo?Subito trasportata all’Ospedale Regina Margherita di Torino e sottoposta ad un intervento di microchirurgia (purtroppo non riuscito), la neonata dovrà fare a meno del suo ditino.

Chi è il colpevole?

L’evento accaduto ci pone inevitabilmente di fronte a due domande:

  1. È competenza dell’operatore socio-sanitario rimuovere un accesso venoso?
  2. In cosa si potrebbe ravvisare una responsabilità anche infermieristica?

La figura dell’OSS è disciplinata dal Provvedimento della Conferenza Stato-Regioni del 22 Febbraio del 2001.

Ecco come si definisce tale accordo.

L’operatore che, a seguito dell’attestato di qualifica conseguito al termine di specifica formazione professionale, svolge attività indirizzata:

  1. soddisfare i bisogni primari della persona, nell’ambito delle proprie aree di competenza, in un contesto sia sociale che sanitario;
  2. favorire il benessere e l’autonomia dell’utente.

Tra le aree di competenza dell’operatore socio sanitario il documento individua:

  1. assistenza diretta ed aiuto domestico-alberghiero;
  2. intervento igienico-sanitario e di carattere sociale;
  3. supporto gestionale, organizzativo e formativo.

In nessuna parte dell’accordo sopracitato, compresi gli allegati A e B che identificano le principali attività e le competenze tecniche di questa figura, rimanda alla gestione degli accessi venosi.

Neanche qualora l’operatrice fosse stata inquadrata come Operatore socio sanitario con formazione complementare (OSS) secondo l’Accordo del 16 gennaio 2003, la manovra sarebbe stata giustificata.

Infatti, non vi è alcun accenno alla gestione (in questo caso la rimozione) degli accessi venosi, se non la competenza nella “sorveglianza delle fleboclisi, conformente alle direttive del responsabile dell’assistenza infermieristica od ostetrica o sotto la sua supervisione”.

Quest’ultima precisazione è utile per poter ragionare in merito ad una eventuale ed ulteriore responsabilità infermieristica.

Come ben sappiamo l’OSS agisce:

  • In autonomia, per le attività pertinenti alla sua figura, programmate dai piani di lavoro;
  • in collaborazione, quando è comunque necessaria la presenza infermieristica;
  • su prescrizione e sotto supervisione infermieristica.

Si può affermare quindi che l’ambito di autonomia decisionale degli operatori socio-sanitari è comunque limitato e piuttosto vincolato dal filtro dell’infermiere. Maggiormente l’attività si discosta dal suo ambito autonomo meno l’operatore è coinvolto in termini di responsabilità (pur mantenendo la responsabilità sulla correttezza dell’azione).

Qual è la responsabilità dell’infermiere?

L’infermiere è colui che attribuisce un’attività all’OSS.

Questo processo si differenzia dalla delega in quanto non deve necessariamente essere scritto e non comporta un trasferimento di poteri decisionali, ovvero chi attribuisce ha comunque una responsabilità sul risultato e di controllo sull’operato dell’altra persona.

L’attribuzione al fine di essere corretta ed appropriata deve seguire alcuni criteri:

  • giusta attività: l’attività deve essere attribuibile cioè rientrare nelle competenze dell’operatore a cui la conferisce. L’attività deve essere di bassa complessità, ad elevata stndardizzazione e che conceda bassa discrezionalità;
  • giuste circostanze: l’infermiere deve valutare il contesto in cui si deve svolgere l’attività e soprattutto il livello di complessità e criticità della persona da assistere;
  • giusta persona: presuppone la valutazione delle capacità dell’OSS;
  • giuste direttive e comunicazione: le direttive devo essere chiare e non devono dare adito a fraintendimenti;
  • giusta supervisione: l’infermiere mantiene il dovere di supervisionare quanto attribuito.

Nel nostro caso, si può ravvisare una responsabilità infermieristica qualora ci siano stati errori del professionista nel processo di attribuzione:

  • errore nel considerare l’attività di rimozione dell’accesso venoso attribuibile all’OSS (che ricordiamo non è di sua competenza come stabilito dalla normativa sopracitata);
  • responsabilità in eligendo qualora l’OSS non possedeva la formazione complementare che gli permettera di “sorvegliare sotto supervisione” la fleboclisi;
  • errore nel processo di comunicazione delle direttive;
  • responsabilità in vigilando qualora sia mancato proprio il controllo dell’infermiere sull’attività affidata.

Quello che ci si chiederà è:

  • l’infermiera in turno ha effettivamente affidato quell’attività all’OSS o l’operatrice ha deliberatamente rimosso il butterfly all’insaputa del collega?
  • l’operatrice ha travisato il mandato di sorvegliare la flebo? È dunque possibile il sussistere di un errore di comunicazione e di mancato controllo infermieristico?

In questi casi sarà decisiva la valutazione della documentazione clinica, compresa la quella infermieristica, che renderà più chiare le dinamiche di questo incidente.

Sarebbe potuto accadere anche ad un infermiere?

Beh, sì, se come fattore determinante al verificarsi del danno è stata semplicemente l’imprudenza e se consideriamo l’avvenimento una tragica fatalità.

Sicuramente l’OSS dovrà rispondere del reato a lei ascritto, qualora venga dichiarata colpevole, poiché ricordiamo che all’operatore rimane comunque la responsabilità di effettuare correttamente la procedura affidata (e con prudenza).

Infine, ricordiamo che la responsabilità penale è di tipo personale, non può perciò essere trasferita. È possibile però che venga valutata anche una responsabilità iinfermieristica nei termini che abbiamo sino ad ora illustrato.

In tutti i casi avere una assicurazione per rischi civili e penali complementare a quella offerta dall’azienda è sempre cosa auspicabile.

Nurse24.it


L’Operatore Socio Sanitario e l’Infermiere

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Assistiamo ormai da alcuni mesi (a dire la verità da alcuni anni) a continue puntualizzazioni, a volte polemiche, circa la collaborazione tra gli infermieri e gli operatori socio sanitari.

La prima figura di supporto secondo il DPR n° 384/90 è l’operatore tecnico addetto all’assistenza ( OTA). Questa figura utilizzata all’interno delle unità operative in collaborazione con l’infermiere trova un’evoluzione attraverso il provvedimento della conferenza stato regioni del 22 febbraio 2001.

La figura OTA con il D. lgs. 229/99 viene considerata figura ad esaurimento e sostituita dalla conferenza suddetta con la figura dell’operatore socio sanitario (OSS), unica figura di supporto sanitario e sociale dal già citato provvedimento normativo.

Viene specificato che l’operatore di supporto svolge la propria attività “su indicazione degli operatori professionali preposti all’assistenza sanitaria e a quella sociale”. Svolge quindi un’attività “ su indicazione” (McGraw-Hill, Gli aspetti giuridici della professione infermieristica, L. Benci pag. 109, terza ed.).

Questa nuova figura professionale è caratterizzata da un’estrema indeterminatezza sia nella formazione, che nelle funzioni, essendo state attribuite alle Regioni e alle Province Autonome la titolarità della formazione. Le Regioni con riferimento all’organizzazione didattica prevista dalla Conferenza hanno autonomamente strutturato il percorso formativo.

L’OSS nasce come operatore di supporto all’assistenza sanitaria più che come operatore dell’assistenza infermieristica, il suo impiego però è prevalentemente rivolto al supporto infermieristico ed è proprio su questo impiego che nascono le problematiche che esamineremo nel corso di questa analisi.

Da un punto di vista generale la responsabilità per la corretta gestione dell’assistenza è in mano alla figura infermieristica come dispone il DM 739/94 art.1.

L’infermiere quindi, nel momento in cui utilizza l’OSS nell’ambito assistenziale, gli “attribuisce un incarico” di cui lui è il diretto responsabile. Su tale attribuzione vertono i conflitti di responsabilità tra infermieri ed OSS.

Nel profilo dell’OSS si definiscono infatti gli ambiti in cui detto operatore è autonomo e risponde del suo operato e quelli in cui la responsabilità è dell’infermiere nel caso in cui vi è una attribuzione dei compiti.

Analizzeremo qui di seguito le norme e le leggi a cui si fa riferimento per identificare i profili professionali e le responsabilità delle figure coinvolte nell’analisi.

Sia l’infermiere che l’OSS posseggono un profilo professionale ma, ad un primo colpo d’occhio, si può notare subito una differenza di tipo legislativo, quello dell’infermiere nasce da un Decreto Ministeriale il 739 del 1994, mentre quello dell’OSS nasce da un accordo Stato-Regioni ( Provvedimento del 22/02/2001).

Analizzando il profilo professionale dell’OSS nell’Art 1 si può notare la differenza formativa (diploma di laurea per l’infermiere, attestato di qualifica per l’OSS) e lo “spessore” della formazione (universitaria contro regionale), infatti per conseguire il titolo di  Operatore Socio Sanitario è richiesta la scuola dell’obbligo (3° media) e compimento del 17° anno di età.

La professione infermieristica è definita come intellettuale (iscrizione all’albo, diploma universitario abilitante) Art. 2229 C.C. – La legge determina le professioni intellettuali (la professione infermieristica rientra tra queste) per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi.

L’accertamento dei requisiti per l’iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente. L’Operatore Socio Sanitario non ha una vera e propria legge che inquadra il suo profilo professionale, ma come  abbiamo già detto  un’ accordo tra Stato e Regioni.

L’infermiere  è il responsabile dell’assistenza generale infermieristica, e non a caso la parola responsabilità appare numerose volte nel codice deontologico dell’infermiere, mentre l’operatore socio sanitario svolge le sue funzioni in collaborazione con gli altri operatori professionali per soddisfare i bisogni primari e favorire il benessere e l’autonomia dell’utente ( Art.1  Provvedimento Conferenza Stato Regioni 22/02/2002)

Essere responsabili dell’assistenza generale infermieristica significa, che il professionista è portatore di una posizione di garanzia nei confronti dei pazienti affidati alle sue cure (Art. 1176  C.C. “ …usare la diligenza del buon padre di famiglia”) ed in particolare sono portatori di quella posizione di garanzia che va sotto il nome di posizione di protezione, la quale è contrassegnata da un dovere giuridico. Detto dovere affida all’infermiere la responsabilità  di provvedere alla tutela  di quel bene così detto  giuridico contro qualsivoglia pericolo, atto a minacciare l’integrità del malato.

Gli infermieri come i medici sono portatori di una posizione di garanzia nei confronti del paziente ed hanno il dovere di eseguire tutte le disposizioni necessarie per assicurare la tutela della salute, come ha avuto modo di confermare la corte di cassazione con la sentenza n° 9638/2000.

Da un punto di vista generale, la responsabilità per la corretta gestione dell’assistenza, è saldamente in mano al personale infermieristico, nonostante che la figura dell’OSS sia dotata di discreta autonomia operativa, infatti nel profilo non viene indicata in maniera specifica nessuna forma di dipendenza dall’infermiere responsabile del turno.

L’operatore socio sanitario ha però un ambito di autonomia pur svolgendo la sua attività “su indicazione” degli operatori preposti all’assistenza sanitaria e sociale.

L’eventuale colpa, da cui potrebbe derivare all’infermiere un addebito di corresponsabilità per il fatto commesso dall’operatore di supporto, può essere individuata  come colpa nell’attribuzione di mansioni, in altre parole, l’infermiere potrebbe aver sbagliato nell’individuare l’oggetto dell’assegnazione di compiti, oppure l’infermiere potrebbe commettere un errore nella scelta del destinatario della delega: la culpa in eligendo, ”(ex articolo 2049 del Codice Civile di derivazione dal codice di diritto Romano), cioè la scelta sbagliata.

La responsabilità dell’infermiere potrebbe essere una responsabilità dovuta a colpa nella sorveglianza sull’operato del destinatario della delega stessa: la culpa in vigilando. Ad esempio, sarebbe sicuramente colposo il comportamento dell’infermiere che affida compiti all’OSS non previsti dal proprio profilo, potrebbe trattarsi  di compiti che l’infermiere dovrebbe svolgere personalmente, cioè compiti infermieristici e come tali non affidabili ad altri soggetti non professionisti ( inserimento di catetere vescicale, prelievo venoso,  bronco-aspirazione, ecc).

Altro caso può essere l’assegnazione di compiti all’OSS senza aver valutato le conseguenze del suo agire.

Per questo motivo l’infermiere deve attribuire i compiti in base al criterio della bassa discrezionalità e dell’alta riproducibilità della tecnica utilizzata, sempre che il compito assegnato all’OSS sia compreso nelle attività attribuibili, e che sono definite nella conferenza Stato Regioni nell’allegato B. L’assegnazione di un compito, infatti,  è un processo che consta di una serie di valutazioni e dall’esito di tali valutazioni l’infermiere  potrà decidere se attribuirlo o meno.

Quindi l’infermiere dovrà valutare: che cosa assegnare, per chi assegnare, perché assegnare, a chi assegnare, dove assegnare (in ospedale, in rsa.) e quale risultato vorrà ottenere.

Il che cosa assegnare potrà significare, ad esempio che l’infermiere dovrà saper valutare quali compiti di carattere esecutivo potranno essere svolti da altri operatori, senza danni per il paziente, ricordandosi che non potrà mai delegare funzioni specifiche del proprio profilo professionale e che, in ogni caso, manterrà sempre la responsabilità del processo assistenziale.

Per chi assegnare significherà che sarà importante individuare il paziente oggetto dell’attività assegnata. Una cosa è rilevare i parametri vitali ad un paziente stabile, altra è delegare la rilevazione di detti parametri ad un paziente con un’emorragia in atto in cui è necessaria la valutazione da parte di un professionista in grado di pianificare gli interventi successivi.

Il perché  assegnare è fondamentale, in quanto permette di individuare l’obiettivo e lo scopo del processo di assegnazione. Ad esempio se l’obiettivo è l’igiene personale del paziente allettato, l’infermiere potrà assegnare tale attività ad un operatore di supporto, ma se tale attività è l’occasione di valutare lo stato della cute del paziente, l’igiene dovrà essere effettuata da una persona che sappia interpretare le possibili alterazioni cutanee.

Anche il dove ovvero il contesto clinico ha la sua importanza. C’è sicuramente differenza  tra un atto affidato in una terapia intensiva, in una lungodegenza o nelle assistenze domiciliari,  dove i tempi della supervisione e del controllo sono diversi.

chi assegnare i compiti è la scelta che l’infermiere può attuare nell’assegnare un compito ad un OSS con esperienza, rispetto ad  un OSS che ha iniziato il suo percorso lavorativo da poco.

In ogni caso l’infermiere manterrà sempre la responsabilità del processo assistenziale in tutte le sue fasi, dall’individuazione dei bisogni di assistenza della persona, alla pianificazione, alla gestione, alla valutazione del suo intervento, sino alla decisione di inserire o meno, nel suo contesto operativo l’opera del personale di supporto.

L’infermiere è passato dal prestare assistenza al medico al prestare assistenza al paziente, quindi a rispondere al paziente; l’operatore di supporto invece sarà chiamato a prestare assistenza all’infermiere e quindi a rispondere a quest’ultimo.

Va ricordato che all’infermiere è attribuita una responsabilità mentre all’operatore di supporto sono attribuite unicamente delle mansioni. L’integrazione tra le due figure è necessaria  per garantire la centralità della persona nell’assistenza sanitaria.

Così l’integrazione dell’OSS, nei vari ambiti lavorativi, diviene fondamentale qualora non si voglia perdere di vista l’obiettivo dell’esercizio professionale, ovvero la tutela della salute della persona.

A questo punto l’infermiere avrà due compiti: quello di formare queste figure e quello di inserirle nell’organizzazione attraverso, protocolli, procedure scritte e supervisioni.

In alcuni casi hanno già provveduto le Regioni come ad esempio l’Emilia Romagna, che ha specificato nel piano formativo che l’OSS esegue “medicazioni  piatte” da effettuarsi “secondo protocollo assegnato”. ( Delibera Giunta Regionale Emilia Romagna n 1404/2000).

Sarà necessario poi preparare gli infermieri attraverso corsi di formazione che permettano loro di conoscere la figura professionale dell’OSS, il suo profilo, le sue principali attività, le competenze e gli ambiti di responsabilità, affinché acquisiscano la consapevolezza dei compiti attribuiti a queste figure.

Facendo quindi buon uso dello strumento dell’assegnazione dei compiti l’infermiere potrà riappropriarsi dei suoi spazi professionali, dei suoi tempi di lavoro evitando così uno sconfinamento di competenze da ambo le parti.

Una buona comunicazione è alla base di qualsiasi collaborazione multi-professionale, pertanto diviene indispensabile abbattere le barriere tra operatori sanitari, attraverso una maggiore interazione tale da ottimizzare le dinamiche di gruppo e accrescere il senso di appartenenza al gruppo di lavoro fino a migliorare la qualità dei servizi.

Profilo dell’Operatore Socio Sanitario

BIBLIOGRAFIA:

° Benci L.  “ Rivista di diritto delle professioni sanitarie” N° 1-2-3  2003

° Calamandrei C., Orlando C.  “ La dirigenza infermieristica, manuale per la formazione dell’infermiere dirigente e del caposala” ed. Mac Graw –Hill, Milano 1998

° Di Giacomo P. “ L’infermiere e l’inserimento del personale di supporto nel processo assistenziale: opportunità e criticità” da NEU anno XXVI- N.° 1- gennaio/ febbraio 2002

° AA.VV. “ L’infermiere si avvale dell’opera del personale di supporto” Coordinamento Collegio IPASVI Regione Emilia Romagna, 1° edizione 2004

° Pagiusco G., Padovan M. “L’intergrazione con le figure di supporto, una sfida per l’infermiere” ed. Cortina, Padova 2002.

° Silvestro A., Maricchio R., Montanaro A., Molinar Min M., Rossetto P., “La complessità assistenziale” concettualizzazione, modello di analisi e metodologia applicativa. Mc Graw Hill Milano, 2009.

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Come creare una alleanza terapeutica tra Infermiere e OSS?

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L’Infermiere nella sua attività di lavoro quotidiano lavora e si interfaccia con le tante figure professionali che insieme costituiscono un team multidisciplinare tra cui riveste un ruolo importante l’Operatore Socio Sanitario (OSS). Va detto innanzitutto che l’infermiere svolge un ruolo di supervisione su tale personale ed è al suo fianco durante tutta la pratica assistenziale.

L’Operatore Socio Sanitario, di cui il relativo profilo è disciplinato a livello nazionale da un provvedimento della conferenza Stato – Regioni, seduta del 22 febbraio 2001 e pubblicato nella gazzetta ufficiale del 19 aprile 2001, n 91, svolge un’attività atta a garantire i bisogni primari della persona. L’OSS fa riferimento alle proprie aree di competenza e tutto questo con l’unico risultato di poter garantire benessere alla persona.

La formazione dell’OSS si svolge attraverso dei corsi di durata di un anno  con un monte ore all’incirca stimato attorno alle 1000.

L’Infermiere attraverso la sua attività di supervisione, decide quali dovranno essere le attività assistenziali da affidare agli operatori di supporto. L’Infermiere si assumerà anche la responsabilità dell’assistenza che viene erogata al paziente da parte dell’ OSS (Corso di formazione – File Pdf).

L’Infermiere nell’affidamento delle pratiche assistenziali all’OSS dovrà eseguire delle opportune valutazioni.

In questo gli viene incontro le 5 proprietà del modello di delega studiato dall’American Nurse Association nel 2004 che possono essere riassunte in:

  • Giusto compito (dove le attività potranno essere delegate tenendo conto della complessità e instabilità delle condizioni del paziente);
  • Giuste circostanze (in cui si potrà delegare l’attività ad un’OSS tenendo conto anche delle risorse disponibili e del contesto);
  • Giusta persona (in cui  l’infermire data la complessità della situazione clinica del paziente, dovrà scegliere di delegare una particolare attività assistenziale all’operatore con più esperienza e adatto a quella particolare mansione);
  • Giusta comunicazione (molte volta il  risultato di una buona/cattiva gestione assistenzaile è il frutto di una ottima/scarsa comunicazione tra infermiere ed OSS;
  • Giusta supervisione e valutazione (quest’ultima caratteristica per me è di fondamentale importanza perché in questa fase l’infermiere fornirà un giudizio sull’operato dell’OSS; attraverso i feedback sia positivi che negativi, si potrà raggiungere una sempre migliore qualità in quella determinata procedura assistenziale).

A mio avviso l’Infermiere durante tutte le procedure dovrà fornire spiegazioni cliniche all’Operatore Socio Sanitario. In tal modo sentendosi incluso nel processo assistenziale, sarà anche più consapevole di svolgere determinate mansioni perché sono basate su evidenze scientifiche e “non per sentito dire”.

L’iInfermiere dovrà  incoraggiare ad esprimere domande e chiarimenti da parte dell’Oss e questo dimostrerà ancora più interesse e una buona presa in carico del paziente.

Infine, il rapporto tra infermiere e OSS deve essere di reciproca integrazione in modo da garantire una ottima qualità del nostro Welfare.

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Affrancatosi dalla malavita ora fa l’Operatore Socio Sanitario

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La vita spesso ci mette di fronte a delle scelte. Quando sbagliamo tuttavia ci offre la possibilità di cambiare il nostro destino. È il caso di Pasquale , Operatore Socio Sanitario oggi residente in Emilia Romagna e dipendente di una nota azienda che gestisce diverse residenze per anziani. Dopo anni di tossicodipendenza e di spaccio di sostanze stupefacenti si è rimesso in gioco. Si è iscritto ad un Corso da OSS e ha lasciato definitivamente la natia Secondigliano . La sua è una storia vera e oggi sogna a 50 anni di fare l’ Infermiere , ma non è facile.

Abbiamo incontrato Pasquale a casa sua a Santarcangelo di Romagna, dove convive da anni con una sua collega. Sogna un bambino e spera di dimenticare il suo passato, che ritorna stridente e pungente tutte le notti. Sogni da incubo che tuttavia lo hanno invogliato a reagire e a darsi un’altra opportunità.

A 48 anni, dopo essere uscito da un lungo periodo di ricovero in un centro per la cura dell’alcolismo e delle tossicodipendenze, si è iscritto ad un corso finanziato dalla regione per Operatori Socio Sanitari in una struttura pubblica, anche se gestito da una società privata.

Come succede spesso al Sud ha dovuto chiedere anche una raccomandazione per superare i test d’ingresso. Il numero era programmato e lo scoglio culturale da superare era per lui un grande handicap.

“Devo ringraziare la mia famiglia, gli amici e questa persona che ho incontrato per caso lungo il mio percorso di vita – ci spiega Pasquale – grazie a loro ora cerco di essere un uomo nuovo. L’Emilia Romagna mi ha accolto bene e la gente della Romagna è molto ospitale. Qui vieni valorizzato per quello che sei oggi e non per quello che eri in passato. In Campania sarei sicuramente tornato a fare il vecchio mestiere, lo spacciatore. Non c’è lavoro e in qualche modo bisogna campare”.

Come mai la scelta di cercare e trovare lavoro in Emilia Romagna?

Sono i casi della vita. Finito il corso da OSS mi sono iscritto ad una società interinale che cercava figure come la mia. Personale di età avanzata, anche senza esperienza, per l’assunzione in una Residenza per anziani in Emilia Romagna. Mi hanno chiamato subito per un colloquio conoscitivo. Dopo una settimana avevo già un contratto di lavoro tra le mani. Non credevo fosse possibile una cosa del genere, non mi è mai capitato nella mia vita precedente da tossico. È vero che non bisogna mai arrendersi. Ho fatto la valigia e sono partito. Da allora scendo
poco a casa. So che dovevo e devo staccare la spina con il passato, ma non trascuro i miei affetti.

Durante il corso hai potuto effettuare dei tirocini in strutture pubbliche del Sud. Hai notato delle differenze rispetto al tuo lavoro attuale al Nord?

Dal punto di vista formativo devo dire che in Campania mi hanno insegnato bene le cose. Non mi piace sputare nel piatto in cui mangio. Dal punto di vista lavorativo è tutto diverso. Qui si rispetta la persona umana, il paziente è sacro, soprattutto per le strutture private che hanno bisogno di garantire una qualità maggiore dell’assistenza. Noi Oss siamo continuamente seguiti dagli Infermieri e costantemente informati su tutto. Anche per quanto riguarda i corsi di aggiornamento non ci possiamo lamentare. I nostri capi ci tengono a ciascuna figura professionale e tecnica operante in struttura. Dal punto di vista lavorativo devo dire però che la crisi inizia a farsi sentire anche qui in Romagna. I presidi che usiamo per l’igiene della persona, per esempio, sono centellinati e devono farli bastare evitando lo spreco e giustificando il superfluo. Fanno bene. Finora in Italia si è troppo sperperato, è giunto il momento di cambiare le cose. Il clima tra colleghi è ottimo. Siamo quasi tutti del Sud. A volte non mancano gli screzi, ma poi tutto si risolve con una stretta di mano ed un sorriso. In fondo chi sta male non siamo noi, ci dobbiamo concentrare sui pazienti.

Nella tua Secondigliano ti accusano di ‘aver trovato l’America’ in Emilia Romagna. È vero?

Ma no, non è assolutamente vero. Qui percepisco 1300 euro netti al mese, pago 350 euro di affitto e sto pagando le rate dell’auto. Poi le bollette e le spese per la salute e per la vita quotidiana. Alla fine dello stipendio mi rimane poco o nulla. Tuttavia sono felice lo stesso e so che sono diventato un esempio da seguire, soprattutto per chi vuole lasciare definitivamente la strada per dedicarsi ad un mestiere che non uccide, ma che riabilita. Tanti ragazzi e uomini e donne della mia età mi chiedono una mano. Io posso fare poco, se non incitarli a cambiare rotta.

Nella tua carriera lavorativa ti sei mai occupato di lesioni cutanee e della loro gestione?

Si capita spesso, ma siamo abilitati a segnalare eventuali anomalie sulla cute agli infermieri. Al limite dopo l’igiene possiamo garantire il sollievo per le lesioni di primo stadio. Per esempio posizionando delle pomate al livello dei glutei. Non ci danno, ed è anche giusto così, piena autonomia. Però ci continua a formare su questi argomenti e ci invogliano a segnalare ogni minima compromissione della cute.

Parliamo di responsabilità sul lavoro. Hai mai pensato di munirti di una assicurazione complementare che coprisse tutti i pericoli legati all’assistenza di pazienti fragili come nel tuo caso?

A dire la verità non ci ho mai pensato, però mi ero ripromesso di informarmi. So che abbiamo una copertura assicurativa dell’azienda, ma non so se ci copre totalmente. Leggo molto ed ho paura che ci siano in giro pochi contenuti che parlano dell’argomento. Ma a scuola ci hanno insegnato che nel momento in cui iniziamo un’opera assistenziale ci rendiamo responsabili di fatto degli esiti. Comunque grazie per questa domanda, mi confronterò anche con i miei colleghi. La richiesta di danni per reati seppure involontari, civili e penali, sono una cosa seria e la questione va approfondita.

Hai un sogno nel cassetto?

Si, come tutti. In famiglia sono circondato da Infermieri ed ho sempre sognato di diventare un vostro collega. Purtroppo non ho le scuole adatte per poter accedere al Corso di Laurea in Infermieristica. Tuttavia mi sto organizzando e sto seguendo un corso di preparazione per prendere il diploma in materie tecniche. Dopo la maturità proverò la sorte. So che è difficile, ma ci devo tentare. Mi rimetto continuamente in gioco e voglio dimostrare prima a me stesso e poi a chi mi sta vicino, compreso i colleghi, che sono un uomo completamente diverso.

Non possiamo che augurarti un forte in bocca al lupo.

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Aggressione Infermieri: per l’Ipasvi la professione è rischiosa

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Alla luce dei recenti fatti di cronaca che si sono verificati nel pronto soccorso di Campostaggia e che hanno coinvolto un infermiere durante lo svolgimento regolare del suo servizio il collegio IPASVI Siena intende esprimere innanzitutto piena solidarietà al collega che è stato oggetto di un’ingiustificabile aggressione da parte di un paziente, secondariamente vuole sottoporre all’attenzione dell’opinione pubblica una riflessione più ampia sulle aggressioni che gli operatori sanitari spesso subiscono sul luogo di lavoro e che la stessa World Health Organization riconosce come un problema da non sottovalutare.

Purtroppo diffusa in tutti gli ambiti lavorativi, e tragicamente in continua crescita, la violenza nei confronti dei sanitari, è la più comune. Si valuta infatti che in pochi anni tra tutte le aggressioni operate durante il lavoro, quelle nel settore sanitario sono salite complessivamente dal 25% al 50%.

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Continuano le aggressioni agli operatori sanitari in Italia

Se la sanità è il settore più interessato, gli infermieri rappresentano i “lavoratori” più colpiti e quelli del Pronto Soccorso, soprattutto se impegnati nell’attività di triage, sono in assoluto i più esposti.

La letteratura internazionale sull’argomento mette in evidenza le preoccupanti dimensioni del fenomeno, che rimane comunque tendenzialmente sottostimato a causa della scarsa propensione nel denunciare gli episodi di violenza da parte degli infermieri, consapevoli che hanno a che fare con utenti (pazienti e loro cari) sottoposti a situazioni stressanti.

“Ogni forma di aggressione fisica, verbale o comportamentale – commenta il presidente del Collegio IPASVI Siena, Michele Aurigi – è assolutamente deprecabile in ogni ambiente e in ogni situazione. L’Operatore Sanitario si prende cura della persona,della sua salute ed è sempre a fianco del cittadino. Ci auguriamo che episodi del genere non debbono più accadere. Al collega vittima di questo episodio il mio abbraccio personale e un augurio di pronta guarigione”.

Restando in tema d aggressioni, riceviamo anche la nota del sindacato Fsi-Cni Sicilia, a firma del segretario Calogero Coniglio.

E’ ormai ordinario apprendere dalla stampa notizie di infermieri, medici e personale sanitario vittime di violente aggressioni nei pronto soccorsi siciliani. L’ultimo caso ieri al Policlinico di Palermo: un uomo ha spinto violentemente contro il muro la dottoressa ed ha preso a pugni l’infermiera. L’aggressione si è conclusa grazie all’intervento di altro personale: l’aggressore è stato poi sottoposto a Tso (Trattamento sanitario obbligatorio) e quindi ricoverato al Civico.

Dopo la denuncia e la richiesta di un incontro urgente avanzata il 6 giugno scorso al Prefetto di Catania, la Fsi-Cni Sicilia, Coordinamento Nazionale Infermieri aderente alla Federazione Sindacati Indipendenti, per l’aggressione avvenuta al pronto soccorso dell’ospedale di Paternò, continua la sua battaglia a garanzia della sicurezza per il personale sanitario.

Presentata questa mattina una nuova richiesta di intervento e incontro al Prefetto di Palermo e al sindaco Leoluca Orlando per discutere sull’emergenza sicurezza negli ospedali palermitani, già presentata l’1 luglio 2014 scorso, andata senza esito.

Dal 2014 ad oggi, numerosi sono stati i casi di aggressione negli ospedali palermitani. Il 25 luglio 2014 al Pronto soccorso di Villa Sofia: a farne le spese furono un medico e un infermiere, aggrediti da un giovane di 23 anni arrivato nell’area di emergenza nella notte e poi bloccato dalla polizia. Il giovane, secondo la ricostruzione dei medici, era ubriaco e ha aggredito il personale: all’infermiere ha rotto gli occhiali, il medico ha riportato una contusione.

Il 5 maggio 2015, altro caso. Il paziente stanco di aspettare il posto letto, andò in escandescenze. Entrato nella sala visite, ribaltò la scrivania, distruggendo un computer e scagliandosi contro un medico, procurandogli ferite e contusioni. L’ospedale Villa Sofia – Cervello, a differenza del Civico, non ha un presidio fisso delle forze dell’ordine.

Ennesimo episodio accaduto il 18 maggio 2016 all’ospedale Di Cristina, in cui un pediatra è stato aggredito dal padre di un piccolo paziente in attesa di una visita in consulenza da fare in un altro reparto.

“Potremmo fare un dossier di centinaia di pagine – commenta Calogero Coniglio, segretario territoriale regionale Fsi-Cni Sicilia – senza considerare minacce verbali, spintoni e spallate che sono all’ordine del giorno e deteriorano lo stato psico-fisico degli operatori con le relative conseguenze per la loro salute. Senza dimenticare che, con un clima eccessivo di tensione, si rischia di commettere errori di malpractice. La dinamica è sempre la stessa: c’è il sovraffollamento, i pazienti restano a lungo sulle barelle, molti familiari protestano o si lamentano civilmente, una minoranza invece prova a picchiare gli operatori che ovviamente non hanno responsabilità. In altri casi invece sono pazienti con problemi di etilismo o di tossicodipendenza ad alzare le mani”

“Il nostro appello è rivolto anche ai rispettivi sindaci – continua Coniglio – In base infatti a quanto stabilito dagli artt. 3 e 14 del D.L.vo 229/99 che prevedono una Conferenza dei Sindaci per la Sanità, le istituzioni locali concorrono alla definizione degli indirizzi e della programmazione delle attività sanitarie e sociosanitarie al fine di soddisfare le esigenze dei cittadini”.

“Molti sforzi ha fatto la nostra organizzazione sindacale – commenta Antonio Di Martino dirigente sindacale FSI referente per Palermo – su tutto il territorio nazionale e livello regionale in Sicilia per descrivere e spiegare il problema delle aggressioni al personale sanitario, ma vi è ancora molto da fare.  Per ridurre le aggressioni, sarebbe opportuno un programma di prevenzione valutando i rischi nei luoghi di lavoro, formando il personale con particolare attenzione alle competenze comunicative e informando l’utenza dell’esistenza di una politica aziendale di tolleranza zero alle aggressioni, che aziende sanitarie, assessorato regionale della salute e istituzioni competenti non adempiono”.

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12 domande scottanti al presidente degli Infermieri Italiani

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La professione Infermieristica è in piena evoluzione. Con l’approvazione del Ddl Lorenzin saranno più chiare le competenze, i ruoli e le responsabilità dell’Infermiere. Abbiamo cercato di entrare nel cuore della professione intervistando la presidente della Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI , Barbara Mangiacavalli . Le abbiamo posto 12 domande insidiose , a cui l’interessata ha risposto in maniera puntuale. Scopriamo assieme cosa ci ha detto.

Barbara Mangiacavalli

Barbara Mangiacavalli. Presidente Federazione IPASVI

Si è parlato un po’ di tutto con la presidente Mangiacavalli : dall’approvazione degli Ordini delle Professioni Sanitarie alla riforma delle modalità concorsuali, dal rapporto con gli Operatori Socio Sanitari allo sfruttamento della Libera Professione Infermieristica , dalle nuove competenze e responsabilità dell’Infermiere nell’Emergenza/Urgenza alla formazione delle badanti e dei care-giver , non trascurando i fatti di cronaca degli ultimi mesi, la riforma dei percorsi universitari e della formazione, della responsabilità professionale , della presenza degli Infermieri nei talk-show televisivi nazionali e dell’istituzione presso il Ministero della Salute del Tavolo Tecnico per la Professione Infermieristica .

L’approvazione del Ddl Lorenzin porterà alla formazione degli Ordini delle Professioni Sanitarie. Cosa cambierà da quel momento per noi Infermieri?

Come ho già avuto modo di affermare, la trasformazione degli attuali Collegi e delle relative Federazioni in Ordini è un passo fondamentale non solo per una migliore e più corretta gestione dei professionisti dedicati all’assistenza sanitaria, ma per la tutela stessa della professione. Questo perché il riconoscimento ormai acquisito e universalmente affermato della nostra professione non può prescindere da quello di un’organizzazione esattamente analoga a quella delle altre professioni intellettuali. L’elemento forte della presenza degli Ordini è la tutela dell’assistito che si ottiene vigilando affinché l’iscritto abbia titolo al contatto diretto con lui, anche in caso con l’esercizio della magistratura interna. Quindi il controllo sui comportamenti deontologici e professionali: si lavora per una sorta di accreditamento periodico anche in termini di competenza dei professionisti. Non basta essere iscritto all’Ordine se poi l’iscrizione diventa un mero titolo di cui fregiarsi senza rivedere preparazione, formazione e competenza. Con gli Ordini va introdotto un percorso di accreditamento periodico professionale e continuativo che gli stessi Ordini possono a pieno titolo verificare. Quindi per gli infermieri direi che è un riconoscimento della loro professionalità, una maggiore tutela dal punto di vista delle responsabilità, ma anche un aumento necessario del loro livello di attenzione generale all’assistenza.

Da alcuni mesi la Federazione Nazionale dei Collegi Ipasvi sta lavorando alla revisione del Codice Deontologico degli Infermieri . È stato realizzato solo nel 2009, ma è già così vecchio?

I codici deontologici – e non certo solo quello degli infermieri – andrebbero aggiornati con una periodicità costante e di medio periodo. Dal 2009 a oggi ci sono state un insieme di leggi, regolamenti, accordi Stato-Regioni che hanno cambiato il panorama assistenziale. In quasi sette anni il progresso scientifico e tecnologico è andato avanti a passi da gigante e se la professione adegua le sue tecniche, il Codice deve adeguare tutto ciò che queste comportano, Abbiamo in più un aumento del coinvolgimento e della responsabilità dell’infermiere che richiede una indicazione più puntuale e precisa delle regole di esercizio della professione. E anche l’evoluzione – in senso negativo purtroppo vista l’occupazione e l’assenza di nuovi contratti – del mondo del lavoro richiede una puntualizzazione deontologica che non sia solo un’indicazione delle responsabilità dell’infermiere nell’assistenza e verso i cittadini, ma si allarghi anche alle responsabilità che questo ha verso i suoi colleghi, le altre professioni e perfino verso se stesso. Più onori significano anche maggiori oneri e questo vuol dire che deve esserci una guida più puntuale e aggiornata per non sbagliare mai dal punto di vista etico e professionale un esercizio professionale che ogni giorno diventa e diventerà sempre più autonomo e ricco di responsabilità. Il Codice non è “vecchio”, perché anche le regole attuali sono comunque valide ed essenziali per la professione, ma deve essere sempre attuale e non deve mai restare indietro perché rappresenta la prima indicazione su cosa è e cosa fa la nostra professionalità.

Parliamo da tempo di nuove competenze per gli Infermieri. Lei crede che la nostra professione sia pronta per il salto di qualità tanto desiderato?

Credo sia necessario ribadire che le competenze avanzate sono un tassello ineludibile di quella crescita professionale di cui abbiamo finora accennato. Andrebbero meglio comprese, perché il fatto di essere per aree di attività e non per singola materia ad esempio le differenzia dalle specializzazioni a cui siamo abituati e le pone su un livello più alto dell’assistenza e della responsabilità che da questa consegue. Un salto di qualità, è vero. Ma che non è nel vuoto: moltissime Regioni, soprattutto del Centro Nord, già applicano nei fatti le competenze avanzate e gli infermieri gli fanno più che onore. Anche nel Sud si sta facendo avanti il cambiamento, ad esempio con le prime sperimentazioni dell’infermiere di famiglia che fa parte di quell’area del territorio prevista nell’accordo Stato-Regioni che ci auguriamo vada presto in porto. L’infermiere non solo è pronto, ma ha già fatto il salto di qualità. Ora questo va codificato e reso uniforme in tutto il Paese, anche perché possa poi essere riconosciuto contrattualmente. E perché gli infermieri ne siano del tutto consapevoli.

Da quello che leggiamo e scriviamo tutti i giorni sembra che i Corsi di Laurea in Infermieristica oggi presenti in Italia sembrano viaggiare ognuno in maniera assestante, lungo un percorso differente e distante dalla realtà professionale. Crede che sia arrivato il momento di una seria riforma?

È un discorso che non riguarda solo la professione infermieristica , ma tutte le attività sanitarie. I percorsi universitari , è vero, sono rimasti indietro rispetto a tutto ciò che abbiamo descritto finora, ma la riforma è necessariamente dietro l’angolo. Le stesse competenze avanzate di cui abbiamo detto poco fa la rendono necessaria, perché hanno bisogno di un serio adeguamento dei corsi che dovranno “formare” ai vari livelli previsti gli infermieri. È un discorso che la Federazione IPASVI ha già messo in campo con precise richieste al Miur . E che con il protocollo Ipasvi-Agenas va anche al di là: l’infermiere diventa protagonista del cambiamento di cui è parte. E Agenas coinvolgerà gli infermieri con l’obiettivo di capire come si può migliorare il lavoro. Nel futuro vincerà non il singolo, ma il team che riuscirà meglio a difendere l’integrità e il valore della persona umana: quello che gli infermieri sanno fare meglio quindi. Per quanto ci riguarda non siamo rimasti con le mani in mano e come Federazione abbiamo ipotizzato ad esempio – e proposto, ma ancora senza risposte – al Miur di prevedere l’inserimento del metodo Tuning nella formazione di base per cui un corso di studi deve
essere orientato sullo studente ovvero sul risultato (output) e non sul docente. Un cambio di rotta molto forte e sicuramente al passo coi tempi. Altro ulteriore discorso riguarda la necessità di “ripensare” i contenuti formativi in funzione dei nuovi bisogni di salute dei nostri cittadini.

La Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI e lei personalmente da qualche tempo si sta affacciando al mondo dei mass-media e dei social-media. Al fine di informare/formare sempre e più il cittadino sul ruolo dell’Infermiere non crede sia opportuno pianificare un piano nazionale di rilancio della professione partendo proprio da una presenza più costante e massiccia su giornali, tv, radio e web?

Dovremmo distinguere la presenza sui media per necessità purtroppo contingenti a fatti di cronaca che in realtà, spesso, non avrebbero nemmeno dovuto coinvolgerci, con una necessaria e auspicabile presenza per far capire alle persone chi è e cosa fa l’infermiere oggi. Non è facile avere gli spazi necessari a questo scopo sui media e lo sanno non solo gli infermieri, ma anche molte altre professioni sanitarie che per ritagliarsi qualche riga o qualche secondo in radio o TV arrivano ad atti plateali come gli scioperi o le manifestazioni di piazza, che peraltro si sono sempre dimostrate inutili ai veri scopi delle professioni e spesso si sono rivelati perfino un boomerang dal punto di vista dell’immagine tra i cittadini. La presenza più costante e massiccia sarebbe ideale, è vero. E la Federazione non la sta trascurando. Ma si tratta di un lavoro da veri e propri certosini perché oltre a dover aprire le porte di mass media abituati a parlare più che altro sulla scia della cronaca e della notizia, deve cercare di far comprendere l’importanza che avrebbe rassicurare i cittadini parlando di ciò su cui possono contare davvero per la loro salute. Come gli infermieri, appunto. Diciamo che siamo in una fase di “lavori in corso” avanzati, lavori di cui vogliamo vedere in fretta i risultati.

Di recente il presidente dell’IPASVI di Grosseto, Nicola Draoli, ha lanciato una provocazione: “relativamente alla polemica sugli intramuscolo affidati alle badanti: è mai possibile che la formazione universitaria si debba ridurre ad un mero percorso di apprendimento prestazione?”. Cosa ne pensa?

Condivido molto lo spirito della riflessione del presidente Nicola Draoli ; ho già avuto modo di dire, anche in altre occasioni, che i bisogni di salute e di assistenza oggi ci chiedono, ci invitano, ci propongono di raccogliere la sfida professionale di lavorare sui processi e sui percorsi. I nostri cittadini hanno bisogno di presa in carico e di continuità assistenziale: la prestazione è un “di cui” del processo. Decontestualizzata e presa da sola non rende l’idea della peculiare e complessa attività infermieristica; si rischia di individuare l’identità professionale in una iniezione intramuscolo e nel frattempo qualcuno ci ha sfilato il processo assistenziale. Il vero problema è che gli infermieri, che a ragione difendono la propria professionalità da invasioni di campo a gamba tesa, spesso non hanno la dimensione dell’immagine che creano intorno a se con particolari come questo: la professione infermieristica è ben di più e va molto, molto oltre una prestazione come l’ intramuscolo . Se ci si ferma a sottolineare con forza situazioni di questo genere, si riduce non solo l’idea di formazione, ma anche l’immagine che si ha dell’infermiere a qualcosa che non è e che non deve essere.

In Italia ci sono circa 70.000 iscritti alla cassa previdenziale ENPAPI e poco meno della metà di Infermieri realmente Liberi Professionisti, molti dei quali costretti ad aprire la P.IVA pur di lavorare e con corrispettivi economici da fame. Non crede che sia arrivato il momento che anche fa FNC IPASVI segnali agli organi istituzionali appositamente deputati i casi noti di palese sfruttamento?

In realtà dovrebbero essere semmai i singoli Collegi a cui il soggetto coinvolto è iscritto a segnalare all’autorità competente casi di questo tipo, non la Federazione. I casi di sfruttamento sul lavoro sono una fattispecie di reato che va portata dinnanzi al giudice del lavoro, appunto, a livello
locale. Il suo iter in realtà non richiederebbe un coinvolgimento diretto degli enti che tutelano la professione, anche se questi possono sicuramente farsene in parte carico. Anzi, a dire la verità dovrebbe essere lo “sfruttato”, l’ Infermiere Libero Professionista , il primo soggetto attivo nell’evitare che questa situazione si ripeta senza accettare che lo “ sfruttamento ” raggiunga limiti intollerabili e se ne abbia notizia solo quando è andato oltre ogni possibile livello di compatibilità con la professione. La Federazione da parte sua sta cercando di fare di tutto perché le regole fiscali vere (non quelle forzate fino allo sfruttamento) siano modificate e adeguate alla situazione professionale. È di pochi mesi fa, ad esempio la revisione che presto sarà operativa degli studi di settore, il controllo fiscale cioè che coinvolge proprio i liberi professionisti e che spesso finora ha recato anche danni a questi. Grazie all’intervento della Federazione Ipasvi presso l’ Agenzia delle Entrate , per quello che riguarda gli infermieri libero-professionisti la Commissione degli esperti degli studi di settore ha approvato all’unanimità sia la richiesta di un’evoluzione anticipata (revisione) al 2017 sia la richiesta di inserire nella circolare accompagnatoria all’applicazione degli studi di settore per il 2015 l’“attenzione” alla posizione delle situazioni a rischio di malfunzionamento, tra cui soprattutto quella degli infermieri “monocliente”, quelli cioè che pur essendo liberi professionisti hanno di fatto un solo contratto di lavoro autonomo con un ospedale, casa di cura, istituto carcerario o altro. Inoltre la FNC IPASVI ha attivato, con ENPAPI , la Commissione Paritetica proprio per ipotizzare, dall’analisi della realtà, iniziative di sostegno, sviluppo e tutela dell’esercizio libero professionale

Anche nel campo dell’Emergenza/Urgenze le cose dal punto di vista economico-occupazionale non vanno benissimo e le recenti inchieste di note emittenti televisive lo dimostrano (finte Onlus e finte Cooperative). Cosa può fare in questi casi la Federazione?

Qui siamo a un altro livello, simile al precedente, ma più vicino al penale. Si tratta infatti di truffe vere e proprie di cui lo sfruttamento dei professionisti è una componente. In questo caso è la magistratura dover provvedere e la Federazione non può, ovviamente, fare nulla prima che questa abbia seguito il suo corso. Anche qui come per il punto precedente, a poter intervenire semmai posso essere i singoli Collegi , costituendosi in caso parte civile in un successivo procedimento. E anche qui la denuncia dovrebbe arrivare dai diretti interessati come prima cosa, ma può essere anche anonima oppure sottoscritta da chi la presenta. L’istanza può essere inoltrata direttamente all’Inps sezione ispettorato del lavoro, oppure ai sindacati (non alla Federazione), questi ultimi semplicemente contattandoli telefonicamente perché inviino controlli sul posto. La Questura , i Carabinieri e soprattutto la Guardia di Finanza sono invece gli organi competenti che possono essere informati, per inoltrare la denuncia formale comprensiva dei dati anagrafici di chi la sporge. Cosa vuol dire questo? Che le situazioni che lei descrive non dovrebbero perpetrarsi nel tempo, ma dovrebbero essere interrotte sul nascere così come qualsiasi altro reato. Il fatto è che, spesso, a favore di chi lo compie gioca la necessità di lavoro che ormai ha raggiunto livelli di vero allarme. Ma non è una giustificazione: i reati vanno denunciati, fermati e perché non si ripetano le denunce dovrebbero essere immediate e secondo i canoni della legge, non arrivare da inchieste Tv o scoop dei media.

Al recente incontro interregionale di Arenzano del Comitato Infermieri Dirigenti, a cui Lei ha preso parte, il presidente Nicola Barbato ha parlato della necessità di rivedere i Concorsi Pubblici per Infermieri e di pensare a nuove modalità di assunzione così come avviene per i medici. Qual è la posizione della Federazione IPASVI in tal senso?

La Federazione non è sopra le leggi. Le norme concorsuali che regolano i concorsi pubblici del comparto sono contenute nel Dpr 220/2001 , un regolamento ministeriale che era già superato e complesso quando fu adottato quindici anni fa. Il difetto peggiore era ed è quello di
costituire in pratica un “copia e incolla” della normativa che tradizionalmente ha caratterizzato i concorsi in sanità: dal Dpr 130/1969 passando per il Dm 30 gennaio 1982 lo schema della procedura è sostanzialmente sempre lo stesso, senza che in questi quasi cinquanta anni si sia stati capaci di trovare uno strumento più adeguato e funzionale al reclutamento di professionisti sanitari per sistemi organizzativi complessi. Il nocciolo del problema è il concetto di concorso fondato su tre prove che non regge più rispetto alle congiunture odierne. Ad esempio per gli infermieri, che si laureano presso le facoltà di medicina e i corsi di laurea sono “appoggiati” alle aziende sanitarie per gli aspetti del tirocinio, si dovrebbe poter ritenere che un neo laureato sia stato già valutato nei tre anni del corso e, in particolare, proprio dai docenti con cui potrebbe trovarsi ad operare una volta assunto. La selezione al momento dell’iscrizione al corso di laurea e quella ulteriore al momento della firma del contratto dovrebbero essere sufficienti per il rispetto del principio sancito nell’articolo 97 della Costituzione che stabilisce che agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge. E comunque, appunto, la Federazione può dare le idee, ma ci vuole una legge per superare l’impasse. Gli strumenti in realtà già ci sarebbero. Ad esempio il Ddl sull’articolo 22 del Patto per la Salute , dove si parla esplicitamente di «… procedere a innovare l’accesso alle professioni sanitarie», ma anche i decreti delegati della Legge 124/2015 che all’articolo 17 dedica ben sette punti di delega alla materia del reclutamento.

Gli Operatori Socio Sanitari (Oss) chiedono più spazi, più autonomia e più competenze e lamentano la scarsa conoscenza del loro profilo e del loro ruolo assistenziale da parte degli Infermieri. Non crede che il nostro personale di supporto, se ben valorizzato, possa aiutarci a risolvere alcuni dei problemi atavici della nostra professione?

Bisogna rendersi conto, pur senza alcuna critica al lavoro importante che gli Oss svolgono per i pazienti, che si sta parlando di due mondi correlati, ma diversi: gli infermieri sono ruolo sanitario , gli Oss ruolo tecnico . È vero che la responsabilità del loro operato è sotto il controllo dell’infermiere, ma con precisi limiti che anche la giurisprudenza ha codificato e riconosciuto e che non aprono molti spazi ad autonomie o competenze. Mi viene in mente ad esempio la sentenza n. 28480/2012 della Cassazione. Secondo i giudici la normativa vigente ha completamente innovato la disciplina della professione infermieristica, definendo gli specifici requisiti necessari per il suo esercizio non abusivo. Le mansioni assistenziali già attribuite dalla precedente disciplina all’infermiere generico e ora all’Oss consento a questo solo di aiutare l’infermiere, e i suoi compiti in autonomia devono essere limitati all’assistenza indiretta. Sono previsioni che escludono la possibilità che l’Oss possa svolgere funzioni infermieristiche senza la supervisione in turno dell’infermiere, pena la sussistenza del reato di esercizio abusivo della professione. Respingo invece l’accusa di scarsa conoscenza da parte degli infermieri del lavoro che comunque svolge l’Oss. Sappiamo tutti benissimo cosa fa e quanto sia importante il suo lavoro. Lo sappiamo noi infermieri e dovrebbero comprenderlo bene anche le aziende sanitarie per evitare, come lei sottintende nella sua domanda, che ai nostri professionisti vengano affidate mansioni improprie, caratteristiche invece dell’attività degli Oss. Qui tuttavia si dovrebbe aprire un discorso ben più ampio sulle peculiarità dell’assistenza e di ciò che questa comporta perché non si strumentalizzino atti che in realtà per la loro difficoltà possono rientrare a pieno titolo nella nostra attività assistenziale e non devono essere lasciati a nessun altro. Ma questo è un altro capitolo.

Alcuni Tribunali italiani si sono accorti da poco che esiste anche una Responsabilità Professionale dell’Infermiere . Ma lei è convinta che i nostri colleghi siano realmente consapevoli dei rischi che corrono tutti i giorni nel disapplicare, anche senza volerlo, le norme a tutela del cittadino e degli stessi professionisti della salute?

No, non ne sono affatto convinta. E questo è decisamente un male perché sarebbe bene invece – e proprio le sentenze a cui lei fa riferimento lo dimostrano – che gli infermieri avessero piena coscienza della loro professione e non credessero di essere responsabili senza responsabilità di un’assistenza di cui sono diventanti tra i principali protagonisti. In questo senso, tornando al Ddl sugli Ordini, è di importanza fondamentale ad esempio anche un’altra previsione contenuta nel testo all’esame della Camera. Mi riferisco alla previsione di inserire tra le circostanze aggravanti comuni l’avere, nei delitti non colposi, commesso il fatto in danno di persone ricoverate presso strutture sanitarie o presso strutture sociosanitarie residenziali o semiresidenziali: piena responsabilità quindi, senza “deleghe”. Ma al di là di questo aspetto che evidenzia con forza il nostro ruolo nell’assistenza, c’è il fatto che sono comunque gli infermieri a dover vegliare sul percorso di cura dell’assistito e di questo devono farsene carico e capire bene che ne hanno piena responsabilità, anche, se necessario, mettendo in evidenza fatti e/o errori che possono comprometterlo compiuti da altri. A quanto, pare da ciò che accade nei Tribunali, invece, molti sono ancora convinti di essere meri esecutori, svilendo oltre la professione anche la propria capacità e la propria dignità professionale.

Per finire. Si è recentemente insediato presso il Ministero della Salute il Tavolo Tecnico per la Professione Infermieristica. Qual è lo scopo di tale iniziativa?

Il suo scopo per noi, come ha sottolineato al momento dell’insediamento la vicepresidente Ipasvi Maria Adele Schirru , è soprattutto scientifico e per questo il documento finale che ne scaturirà dovrà avere come punto di riferimento la necessità di mettere sempre al centro i bisogni del cittadino, decidendo in modo chiaro e trasparente tempi e argomenti da affrontare e lavorando parallelamente, ma mai in modo sovrapposto alla politica. Non c’è una professione più importante di altre e per questo l’obiettivo è dare al cittadino il miglior servizio possibile in un quadro, come quello attuale, di bisogni mutati per epidemiologia, demografia e organizzazione dei servizi. D’altra parte, come abbiamo già accennato, molte nuove competenze degli infermieri sono già realtà in alcune Regioni e per questo è necessario lavorare per riconoscerle in modo formale su tutto il territorio nazionale, evitando che diventino bersaglio di prese di posizione formali e non sostanziali. Non per nulla l’obiettivo del Tavolo evidenziato dal sottosegretario De Filippo al momento dell’insediamento è quello di dare alla professione infermieristica un ruolo da protagonista molto più impegnativo, effetto anche della sua evoluzione ordinamentale e formativa: dall’ospedale per intensità di cure, agli ospedali di comunità e ai reparti a gestione infermieristica per cure a bassa intensità, al nuovo assetto delle cure primarie sul territorio ad iniziare dall’ infermiere di famiglia , all’implementazione delle competenze avanzate e specialistiche degli infermieri ad iniziare dai Dipartimenti di emergenza e al sistema del 118, ma non solo. Sono le nuove funzioni e i nuovi ruoli per gli infermieri di cui parlavamo prima, che divengono “ufficialmente” strategici per migliorare la qualità delle prestazioni sanitarie erogate dal Ssn.

Nurse24.it

Le Infermiere Volontarie non saranno riconosciute come Osss

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Non vi è e non vi sarà alcuna equipollenza tra il diploma di Infermiera volontaria e quello diploma di Operatore Socio Sanitario Specializzato. Lo rende noto l’avv. Ennio Grassini in un servizio su Doctor33.it
Le Infermiere volontarie costituiscono un Corpo ausiliario delle Forze Armate, disciplinato dall’Ordinamento militare (D.Lgs. n. 66 del 2010, art. 1729 e ss.), spiega Grassini, che si occupa di Diritto Sanitario.

Il codice disciplina, esclusivamente, l’organizzazione, le funzioni e l’attività della difesa, della sicurezza militare e delle Forze Armate. La disposizione, come si evince dall’art. 1737 del Codice dell’Ordinamento militare, prevede che “il personale in possesso del diploma, equivalente all’attestato di qualifica di operatore socio-sanitario specializzato, esclusivamente nell’ambito dei servizi resi, nell’assolvimento dei compiti propri delle Forze armate e della Croce rossa italiana, è abilitato a prestare servizio di emergenza e assistenza sanitaria con le funzioni e attività proprie della professione infermieristica”.

Essa è chiara nel prevedere che l’equivalenza opera esclusivamente nell’ambito dei servizi e dei compiti propri delle Forze Armate e della Croce Rossa Italiana, escludendo, quindi, qualsiasi equivalenza al di fuori di quel settore.

Nurse24.it

Quei bambini disabili psichici e l’assistenza indispensabile degli Oss

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L’apporto tecnico e il supporto esperienziale degli Operatori Socio Sanitari nel campo dell’assistenza a pazienti pediatrici con sindromi e patologie psichiatriche possono trasformarsi in un valido aiuto per gli Infermieri, soprattutto nell’ambito della cura e dell’apporto assistenziale a bambini con gravi anomalie fisiche e psichiche.

Per essere un valido personale di supporto gli Operatori Socio Sanitari di nuova generazione cercano di formarsi e di specializzarsi sempre più in settori specifici dell’assistenza. Oggi raccontiamo l’esperienza di Susanna in un noto centro diurno per il recupero dei deficit residuali di bambini affetti da gravi disfunzioni di natura psico-fisica.

La nostra interlocutrice ha 28 anni e si è diplomata Oss in una scuola regionale in Campania. Dopo 1000 ore di corso, tra teoria e tirocinio, non ha mai smesso di formarsi. Susanna pensa che l’assistenza sia una cosa seria e che fare da supporto agli Infermieri significa anche assumersi appieno le proprie responsabilità. Ecco perché ha deciso in autonomia di lasciare la Campania a 23 anni e di recarsi prima in Toscana e poi in Emilia Romagna per lavorare, ma anche per continuare a studiare.

Così un bel giorno è successo quello che sperava accadesse da tempo: la firma di un contratto a tempo indeterminato in una struttura privata emiliano-romagnola, che qui per tutelare i minori omettiamo di citare.

Oggi la protagonista della nostra storia lavora con bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni quasi tutti affetti da sindrome autistica. Pazienti difficili da trattare e che richiedono una calma non indifferente: “occorre continuamente mettersi in gioco, aspettare – ci spiega Susannasono per me come dei fratelli minori che si aprono quando vogliono e se vogliono decidono quando meno te l’aspetti di farti entrare nel loro mondo”.

Com’è il rapporto tra Infermieri ed Oss nella struttura dove lavori?

Direi che è ottimo. Ovviamente io posso parlare solo dal mio punto di vista, ma non denoto divergenze tra le due figure. Noi Oss nel centro diurno non andiamo mai oltre le nostre competenze e non ci mettiamo mai in competizione con i colleghi Infermieri. Ognuno di noi fa il suo, come è giusto che sia. In più siamo un valido supporto per loro, anche perché siamo noi a passare la maggior parte del tempo con i pazienti. La parte infermieristica del centro si occupa di terapia e collabora con le altre figure professionali presenti nella struttura, tra cui i medici, gli psicologici, gli assistenti olistici, i fisioterapisti ed altri.

Come mai hai scelto di diventare Oss?

Io vivevo in Campania, a Torre del Greco, una regione e una città in cui non è facile vivere. Laggiù si sopravvive. Non avevo lavoro, non avevo soldi, ma da sempre avevo intenzione di dare un significato e un prosieguo alla mia maturità scientifica. Per caso ho visto la pubblicità su dei manifesti di un corso regionale per Operatori Socio Sanitari. Mi sono iscritta, ho fatto una piccola selezione e ho iniziato il percorso. Durante il periodo delle lezioni e dei tirocini lavoravo anche in un bar. E’ stata dura, ma alla fine ce l’ho fatta. Dopo qualche mese l’esame finale ho iniziato a mandare curricula in giro e mi hanno assunta per qualche mese in una struttura a Prato. Successivamente ho lavorato per un breve periodo come badante in una casa di possidenti a Bologna e infine sono capitata in Romagna, dove mi hanno proposto prima un contratto di sei mesi e infine l’indeterminato, che mi sono guadagnata con i denti. Oggi sono sposata con un Infermiere che lavora nella mia struttura ed ho uno splendido bambino. Ma non smetto mai di informarmi e di formarmi sulle patologie e sull’assistenza a pazienti come quelli che gestisco tutti i giorni.

Ti senti predisposta per questo genere di lavoro?

Mi dicono sempre che sono nata con una predisposizione ai rapporti interpersonali. I miei genitori mi hanno sempre detto che bisognava guardare alle persone, che sono tutte dotate di dignità umana prima di essere altro. Fare l’Oss non ti dà le stesse responsabilità degli Infermieri, ma sono consapevole che ho delle persone davanti a me, dei pazienti che hanno serie difficoltà e che hanno bisogno anche di me, della mia competenza, del mio affetto, del mio supporto.

È difficile lavorare con pazienti affetti da autismo?

Nulla è facile e scontato in questa vita. Non è facile lavorare con questi ragazzi e queste ragazze. Davanti a noi abbiamo delle persone che spesso o quasi sempre sono chiuse in un mondo parallelo al nostro. Decidono loro quando accoglierti. A volte ti offrono una carezza, un sorriso, una parola, altre volte non danno alcun segno. In tutte le occasioni mi riempiono di gioia e spero che valga la stessa cosa per loro. Io ce la metto tutta.

Qual è la vostra giornata-tipo di lavoro

I turni sono di 7 ore circa. Non facciamo le notti, anche perché la struttura prevede solo un’apertura mattutina e pomeridiana. Giunti nel centro diurno vi è un breve briefing prima tra noi Operatori Socio Sanitari e poi con gli Infermieri. Ci passiamo in pratica le consegna e stabiliamo come e con chi lavorare durante il turno. Nella struttura vi sono un Infermiere e 6 Oss per turno. Noi ci occupiamo dell’igiene, dei pasti e del vestiario dei pazienti; di mattina ci occupiamo anche della parte ludico-ricreativa. Purtroppo molti dei pazienti sono anche autolesionisti e dobbiamo stare attenti che non si facciano male. La nostra attenzione è massima.

Com’è il rapporto con la famiglia dei tuoi pazienti?

Direi ottimo, le famiglie sono parte integrante e vitale del Centro diurno. Senza di loro non sarebbe possibile fare tutto ciò che realizziamo ogni giorno. Si sono costituiti in associazione e promuovono ogni giorno attività extra per questi bambini e per questi ragazzi. Non mancano momenti dedicati all’arte, al teatro, alla ricreazione e allo spettacolo ludico.

La struttura dove lavori tiene conto delle competenze acquisite dagli Oss in questo specifico settore?

Siamo sempre l’ultima ruota del carro, dopo di noi ci sono solo i facchini e le signore delle pulizie. Ma devo dire che dal punto di vista economico e del riconoscimento delle competenze acquisite non ci possiamo e dobbiamo lamentare. Ci pagano bene e garantiscono ogni diritto sancito nei contratti di lavoro. Qualche volta ci chiedono degli straordinari, spesso non pagati, ma anche questo fa parte del gioco. Se sul lavoro ti trovi bene le ore passano in fretta e se l’azienda o gli infermieri o i coordinatori della struttura hanno dei problemi legati all’assenza di personale è giusto mettersi a disposizione. Certo alcuni colleghi ne approfittano e si mettono spesso in malattia non per giusti motivi o nei momenti sbagliati. In questo caso andrebbero fatte le giuste verifiche, ma non si può pretendere tutto. Comunque il mio giudizio complessivo sull’azienda è ottimo.

Grazie Susanna, sei stata gentilissima, ci hai raccontato in poche parole il tuo lavoro, un mondo che per molti è ancora sconosciuto. Continua a seguirci!

Nurse24.it


Operatore Socio Sanitario e assistenza a paziente immobilizzato a letto

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Quando si parla di Operatori Socio Sanitari non sempre si ha coscienza e conoscenza del loro effettivo ruolo di supporto agli Infermieri. Spesso si dimentica che la loro azione è fondamentale per garantire la corretta applicazione delle pratiche assistenziali anche a pazienti complessi come possono essere quelli immobilizzati a letto. Al di là della patologia che li costringe all’immobilità, l’apporto dell’OSS è necessario per prevenire cadute, individuare eventuali lesioni, mobilizzare correttamente il paziente.

Gli Operatori Socio Sanitari sono nati ufficialmente nel 2001 tramite l’apposito Accordo Stato-Regioni per fare da supporto e coadiuvare gli Infermieri nell’assistenza a pazienti di tutte le età. Spesso il loro ruolo viene confuso con il nostro (anche volutamente da alcune aziende sanitaria o case di cura). In tutti i casi il loro responsabile resta sempre il Professionista Infermiere che se ne avvale, come recita il Profilo Professionale ove necessario e dopo aver verificato le capacità tecniche e teoriche dell’OSS.

Nelle strutture complesse, deve vi sono ricoverati importanti dal punto di vista patologico, costretti a brevi, a medie o a lunghe mobilizzazioni, l’apporto degli Operatori Socio Sanitari diventa indispensabile per la mobilizzazione, per l’igiene, per l’alimentazione, per la preparazione alle attività fisioterapiche e per tutte le iniziative assistenziali in planning.

Tra le attività dell’OSS vi sono la promozione del confort e la sicurezza del paziente a letto, che se fatti bene garantiscono il giusto benessere all’assistito.

Ma andiamo con ordine e iniziamo dalla base.

sollevamento paziente

Per mobilizzare un paziente l’OSS deve conoscere le giuste tecniche per non far male e non farsi male.

Per prima cosa l’OSS deve occuparsi, su mandato e in stretta intesa con l’Infermiere (in autonomia solo se è realmente competente o se le esigenze di reparto o la complessità assistenziale lo richiedono), di garantire una corretta igiene del paziente e segnalare tempestivamente eventuali anomalie riscontrate a livello tissutale.

Nel caso in cui fosse necessaria una mobilizzazione occorrerà valutare con l’Infermiere quale tecnica e quale presidio utilizzare:

  1. tecniche di postura ad una – due – tre persone;
  2. cinture di sollevamento;
  3. sollevatori meccanici;
  4. cuscini;
  5. presidi anti-decubito e anti-trauma.

Tutto ciò garantendo sia il comfort, sia la sicurezza dell’assistito e degli operatori. In ogni caso l’OSS non deve mettere in pericolo nessuno, nemmeno sé stesso.

Le principali linee guida internazionali sulla meccanica del corpo stabiliscono che occorre:

  1. Pianificare i movimenti o i trasferimenti con mola attenzione, tenendo conto degli spazi liberi reali e di eventuali ostacoli (ecco perché occorre verificare se l’OSS conosce perfettamente le tecniche assistenziali ed è cosciente di quello che fa);
  2. Per carichi che pesano più di 23 Kg occorre farsi aiutare o utilizzare specifiche apparecchiature;
  3. Chiedere al paziente, là dove possibile, di aiutarvi nell’intervento di mobilizzazione;
  4. Non fare tutto da soli per evitare danni a sé e agli altri;
  5. Usale le ginocchia e le braccia per creare le giuste leve di sollevamento;
  6. Sistemare l’area di lavoro in modo da tenerla vicina al corpo;
  7. Abbassare le spondine del letto o eliminare i tavolini per evitare traumi e lesioni accidentali;
  8. Alzare fino alla vita il letto elettrico o manuale;
  9. Utilizzare un corretto allineamento del corpo facendo attenzione a stare vicini all’oggetto o alla persona da sollevare;
  10. Fare attenzione ai movimenti bruschi che possono farvi perdere l’equilibrio;
  11. Prepararsi al movimento con la giusta contrazione dei glutei;
  12. Guardare sempre davanti a sé ed evitare di lavorare contro-gravità;
  13. Allargare la base di appoggio spostando spostando il piede anteriore in avanti quando dovete spingere un oggetto; in caso occorre spingere un oggetto, invece, riportare indietro la gamba;
  14. Utilizzare il proprio peso corporeo per creare la giusta spinta e la giusta rotazione corporea, inclinando all’occorrenza il corpo in avanti o indietro.

In tutti i casi occorre prevenire i danni alla schiena e ciò vale sia per gli OSS che per gli Infermieri.

Sono da evitare due movimenti specifici:

  • torsione della colonna toraco-lombare (rotazione);
  • flessione acuta della schiena con anche e ginocchia dritte.

Come si possono prevenire danni alla schiena?

Per evitare la sua torsione involontaria si può mantenere un angolo retto e fronteggiare la direzione del movimento. Basta tirare, spingere, far scivolare o muovere l’oggetto direttamente vicino o lontano dal centro di gravità. La stessa cosa vale per la mobilizzazione delle persone: con un loro aiutino o con l’aiuto di altro personale si posso evitare traumi non voluti, per i quali poi è difficile rimediare. I danni alla schiena, infatti, restano per lungo tempo e spesso non guariscono mai.

Dopo l’igiene e prima di mobilizzare nuovamente il paziente per posizionarlo in carrozzina occorre stare attenti e controllare che:

  1. il letto sia asciutto e pulito;
  2. il materasso sia compatto, ovvero abbia una superficie piana utile a fornire il giusto supporto alle curvature naturali del corpo dell’assistito;
  3. gli arti del paziente siano liberi di muoversi e che non battano contro ostacoli;
  4. ci siano i giusti supporti di appoggio e anti-decubito;
  5. evitare di posturare l’assistito accentuando la pressione su prominenze ossee, lesioni o ferite traumatiche o chirurgiche, drenaggi, Peg, sondini, cateteri vescicali, cateteri venosi centrali, cateteri venosi periferici ed altro.

E non è tutto, oltre alle alzate e al riposizionamento a letto va previsto anche un Piano Sistematico delle Posizioni (per le 24 ore). Per esempio: quante ore il paziente può restare seduto in carrozzina o in poltrona? Quante ora può rimanere in postura supina o supino-laterale oppure prona? Tutto va programmato per evitare lesioni e disagi.

Insegnare all’Operatore Socio Sanitario (e verificarne la padronanza) le tecniche di mobilizzazione e postura evita tantissimi problemi e spesso denunce inutili, oltre che danni a chi è indifeso ed ha bisogno delle nostre cure.

Ecco alcuni consigli per l’OSS:

  • posizionare il paziente in semi-Fowler o Fowler bassa (15-45°);
  • posizionarlo in Fowler (45-60°);
  • per migliorare l’allineamento del corpo e il comfort del paziente ricordarsi in ogni caso (semi-Fowler, Fowler o Fowler basso) di posizionare un cuscino sotto la parte bassa della schiena, al fine si supportare l’area lombare, prevenendo la flessione posteriore della curvatura lombare;
  • per prevenire l’ipertensione del collo posizionare un cuscino sotto la testa (non deve essere troppo grande per evitare contratture da flessione protratta del collo);
  • posizionare cuscino sotto l’avambraccio;
  • posizionare cuscino sotto le cosce tenendo liberi i talloni;
  • posizionare all’altezza del trocantere un cuscino o un “rotolo” realizzato con federe o lenzuola per evitare la rotazione esterna della anche;
  • all’altezza delle palme dei piedi posizionare una pedana che garantisca la giusta inclinazione dei stessi ed eviti lo scivolamento e la frizione (dipende anche dallo stato del paziente).

Identici suggerimenti sono indicati per la posizione laterale del paziente, il cui comfort e la cui sicurezza possono essere favoriti attraverso l’utilizzo dei giusti presidi:

  • per prima cosa un materasso anti-decubito (occorrerebbe valutare con l’Infermiere l’Indice di Braden);
  • una pedana;
  • un rotolo per il trocantere, per la mano e per il gomito;
  • un cuscino per abduzione (utile per evitare lussazioni dell’anca);
  • stivaletti o valve imbottite per il corretto posizionamento e la giusta protezione del piede.

Da tener presente che ogni paziente è assestante e che spesso le patologie sono simili ma non uguali. Per cui prima di fare qualsiasi manovra bisogna valutare le condizioni reali del paziente. Un grosso aiuto può essere dato dall’osservazione, dalla lettura della sua cartella clinica e dalla partecipazione ai briefing tra OSS e Infermieri. È questo un momento utilissimo per farsi un’idea sull’assistito che abbiamo di fronte.

E se proprio non ve la sentite non mobilizzate alcun paziente da soli, ma attendete l’arrivo dei colleghi e degli Infermieri.

Nurse24.it

OSS. Come prendersi cura dei piedi del paziente

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L’Operatore Socio Sanitario,  può contribuire fattivamente alla cura dei piedi del paziente, molto utile per prevenire/curare infezioni e micosi, ma anche per permettere un’adeguata deambulazione prima che si verifichino delle complicanze. 

La corretta igiene e la cura degli arti dei piedi di un paziente deambulante o non, favorisce la riduzione o l’individuazione di infezioni o micosi e, là dove possibile, una corretta deambulazione dell’assistito. In tale ambito si stanno sempre più specializzando gli Operatori Socio Sanitari (OSS) che, assieme agli Infermieri, assistono tutti i giorni il paziente.

Molte aziende sanitarie e centri di cura, soprattutto in ambito privato, stanno invogliando gli OSS a prepararsi nel settore, onde diventare degli esperti e favorire il lavoro di assistenza di Infermieri, Medici e Fisioterapisti.

Corsi specifici, seppur non correlati ad ECM (non previsti per gli OSS), stanno nascendo un po’ ovunque in Italia. Quasi sempre sono iniziative di singoli o di gruppi assistenziali che hanno individuato nella figura dell’Operatore Socio Sanitario un momento di forza importante.

Curare i piedi, ma anche le mani, e con essi le unghie è indispensabile per favorire la posizione verticale del paziente e permettergli di camminare senza problemi. Questo vale soprattutto per i pazienti anziani o per quegli assistiti costretti a lunghi periodi di allettamento.

E per chi non cammina?

Prevale lo stesso identico principio: occorre garantire il comfort e il benessere del paziente, evitando infezioni, micosi e quant’altro possa influire nella corretta azione assistenziale quotidiana.

Perché è importante gestire bene i piedi e le unghie?

Ci sono vari fattori da considerare:

  1. evitare e/o segnalare infezioni e micosi;
  2. favorire la corretta deambulazione;
  3. individuare e/o segnalare eventuali anomalie alla continuità cutanea (ferite, lesioni, flogosi, flemmoni per il piede diabetico, ragadi, unghie incarnite e via discorrendo);
  4. presenza di dolore;
  5. secchezze cutanee;
  6. garantire una igiene completa.

Spesso la cura dei piedi e delle unghie viene sottovalutata. Anche il taglio delle unghie non è spesso concepito nell’interesse dell’utente, bensì secondo logiche di risparmio di tempo e purtroppo di denaro.

Salvaguardare l’integrità cutanea è fondamentale per evitare infiltrazioni batteriche e di conseguenza lesioni dolorose e difficili da curare.

Va ricordato che occorre fare molta attenzione:

  1. alla punta dei piedi (le dita) e alle prospicienze ungueali;
  2. ai malleoli interni ed esterni;
  3. ai talloni.

perché restano le parti più a stretto contatto con il pavimento e il letto, quindi soggette anche a pressione, frizione, scivolamento e a danni accidentali.

Come vanno trattati piedi ed unghie?

La cura e l’igiene dei piedi comprendono vari passaggi:

  1. lavaggio regolare al mattino, mediante l’utilizzo di saponi antibatterici/antimicotici neutri;
  2. ammollo in acqua tiepida con emolliente, per favorire la pulizia profonda delle unghie più spesse e ammorbidire eventuali calli e pellicine superflue;
  3. risciacquo con acqua pulita (né tanto fredda, né tanto calda, per evitare lesioni da escursione termica);
  4. asciugatura (i piedi vanno tamponati utilizzando asciugamani puliti ed occorre fare attenzione allo spazio interdigitale, evitando lesioni e segnalando quelle eventualmente presenti);
  5. pulizia accurata delle unghie, utilizzando i giusti presidi (forbici arrotondate, tagliaunghie, lime, bastoncini di legno ecc.) e non andando oltre il dovuto, evitando così lesioni accidentali;
  6. eliminazione dei calli, che non vanno mai recisi, ma limati;
  7. utilizzo di olii e creme idratanti;
  8. utilizzo di talchi assorbenti;
  9. utilizzo eventuali di creme antimicotiche.

Quando i piedi sono pronti occorre anche pensare alle giuste calzature, adatte al paziente e che scongiurino pressioni indesiderate e/o frizioni e scivolamenti degli arti inferiori. Le scarpe non devono essere strette, devono avere un piano antiscivolo e soprattutto devono fornire sostegno ai piedi.

Se il paziente zoppica mentre cammina può darsi che abbia dei problemi con le scarpe o con i piedi. È un campanello d’allarme e occorre tempestivamente intervenire. L’azione in tal senso dell’OSS è fondamentale per evitare problemi che spesso possono dare origine a complicanze non desiderate, ma preventivabili.

L’Operatore Socio Sanitario che è già esperto nel settore sa bene che occorre evitare di tagliare drasticamente le unghie, preferendo alle forbici il tagliaunghie o la lima.

Spesso occorre combattere contro dei luoghi comuni insiti negli stessi assistiti o nei loro famigliari, secondo cui tagliare spesso le unghie le si indebolisca. Nulla di più errato.

E per i pazienti diabetici?

Se un Operatore Socio Sanitario, in presenza di un piede diabetico e/o dopo aver notato la possibile presenza di flemmoni, non se la sente di intervenire deve assolutamente evitare di farlo, segnalando il tutto all’Infermiere o agli Infermieri di turno. Se un OSS agisce in autonomia praticando anche involontariamente un danno all’assistito deve sapere bene cosa fa e a cosa va incontro. Il paziente, i suoi parenti o addirittura la struttura può rivalersi sull’azione errata e l’OSS rischia sia dal punto di vista civile, che da quello penale (ricordarsi sempre della negligenza, dell’imperizia e dell’imprudenza).

Per tutelarsi di fronte a degli errori involontari è possibile oggi assicurarsi ed evitare guai almeno dal punto di vista economico.

Nurse24.it

OSS, nasce l’Area Socio-Sanitaria e il Migep esulta

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La bozza dell nuovo documento di indirizzo su “Personale dei livelli – Triennio contrattuale 2016/2018“, messo in piedi dal Comitato di Settore Comparto Regioni e Sanità potrebbe rivoluzionare le professioni sanitarie e quelle tecniche. Infatti, se da una parte gli Infermieri guadagnano il ruolo di “specialisti“, per la prima volta vengono riconosciuti gli OSS. Per loro nasce l’Area Socio-Sanitaria

Lo rende noto la Federazione Migep in un comunicato diffuso agli organi di informazione, dove rivendica le lotte e gli sforzi economici per giungere a questo obiettivo. Va ricordato che gli Operatori Socio Sanitari in Italia sono circa 330.000 (250.000 quelli riconosciuti come tali, il resto in fase di “revisione”).

L’unico profilo professionale istituito con una metodologia propria di quest’area è l’OSS.

L’Operatore Socio-Sanitario iscritto in questo nuovo settore, si legge nella bozza, “avrebbe una giusta collocazione, risolvendo, alla radice, le questioni controverse legate al suo attuale inquadramento nel ruolo tecnico da una parte e dall’altra porrebbe nella giusta dimensione, il rapporto di collaborazione con le professioni sanitarie e sociali ad iniziare da quella infermieristica.”

“La costituzione reale di quest’area delle professioni socio-sanitarie potrebbe dar corso a nuove legittimità ed operatività professionali in un ambito di intervento nel quale iscrivere alcune criticità attuali, relative a particolari profili che, nella suddivisione rigida in ruoli, non sono riusciti a trovare una adeguata collocazione e ai quali, invece, appare necessario rispondere positivamente cogliendo l’esigenza di dare ad operatori e professionisti il riconoscimento formale anche nella contrattazione nazionale – si evince più avanti nel documento – in questa area andrà individuato un inquadramento adeguato e coerente per tutti quei profili professionali che non sono riconosciuti appieno all’interno dell’attuale sistema professionale sanitario, ma che nella visione nuova di tutela della salute, ricoprono funzioni utili ed efficaci per il “piano terapeutico” e per l’intera organizzazione del lavoro e che nel tavoli di confronto della stagione contrattuale siano necessari al sistema di tutela della salute.”

“In altri termini si darebbe così vita ad un nuovo e discontinuo scenario caratterizzato da un diverso pluralismo professionale più adeguato e funzionale non solo ad interpretare, ma anche a soddisfare i bisogni di salute e rispondendo così positivamente all’evoluzione della organizzazione del lavoro nella prevista integrazione socio – sanitaria” – conclude la bozza.

Nei giorni scorsi ci fu l’intervento della Federazione Migep, che raccoglie al suo interno, tra gli altri, gli Operatori Socio Sanitari, i vecchi Infermieri Generici, quelli Psichiatrici, gli Assistenti di Base e le Puericultrici. La struttura parlava apertamente di “demansionamento” degli OSS.

“Mentre l’infermiere guadagna un profilo più elevato nello sviluppo di risposte locali, nazionali e internazionali, altre figure assistenziali sono emarginate e demansionati – spiegavano dal Migep – La necessità di contare sui sistemi sanitari porta queste figure a una sfida. Le pagine seguenti analizzano tali sfide che questi operatori (infermieri generici, inf. Psichiatrici, puericultrici e OSS) si trovano ad affrontare e come si può migliorare la loro professione per il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di miglioramento del Servizio Sanitario Nazionale. Questo documento dimostra inoltre come queste figure possano dare un contributo alla trasformazione del sistema assistenziale anche alla luce delle modificazioni organizzative e assistenziali dovute all’invecchiamento della popolazione.”

“Si ritiene che, in quest’ottica, debbano essere valorizzate non solo la figura dell’infermiere, ma anche quella di altri profili (dell’inf. Generico, inf. Psichiatrico, Puericultrici, OSS), orientando le strategie per migliorare e rinforzare i sistemi assistenziali attraverso le linee del Patto per la Salute e il CCN di lavoro – si leggeva più avanti nella nota del Migep – per questo motivo il Migep propone di riconoscere tali figure dimenticate in una Piattaforma per il riconoscimento delle professioni che riteniamo dimenticate ma che costituiscono una forza per cambiare, cercando di far presente l’urgenza di definire in modo coerente il profilo di queste figure anche nell’ambito di un nuovo contratto di lavoro. Si tratta di un numero notevole di operatrici e operatori, circa 250.000, fondamentali per fa funzionare il sistema sanitario in collaborazione con tutte le altre figure. Dare a questi maggiore importanza, riconoscere le loro competenze nei contratti collettivi nazionali di lavoro e nelle leggi, sarà di giovamento all’intero sistema sanitario e socio sanitario. Non si può fare lavorare in sostituzione di figure con qualifiche superiori, senza dare loro le medesime opportunità, eventualmente migliorandone la formazione.”

“L’obiettivo è ottenere uno sviluppo sostenibile atto a promuovere benessere per tutti. Tutte le professioni, in altri Paesi, partecipano alle richieste di sfida e rispondono ai nuovi modelli organizzativi e assistenziali per il benessere del cittadino. Riteniamo che anche in Italia venga data quest’opportunità a tutti i profili, poiché la sanità non è fatta solo d’infermieri e medici e, per raggiungere l’obiettivo di uno sviluppo della qualità assistenziale, il percorso deve essere intrapreso insieme a tutti i profili – concludevano dal Migep – si chiede di aprire un confronto anche con la Federazione Migep.”

Bozza Comitato Settore Comparto Regioni Sanità

Proposta Piattaforma Migep

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Operatori Socio Sanitari e la somministrazione dei pasti

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L’Operatore Socio Sanitario, d’intesa con l’Infermiere, prepara i pasti e si occupa della somministrazione degli alimenti a pazienti portatori delle patologie più disparate. Ma fino a che punto l’OSS ha le competenze per farlo? E soprattutto ha la preparazione scientifica per gestire per esempio disfagie e condizioni patologiche particolari? Scopriamo assieme cosa può fare.

Parlare di alimentazione risulta piuttosto importante in quanto essa costituisce un elemento fondamentale per molte patologie cronico degenerative. Una nutrizione inadeguata o non sufficiente può concorrere all’insorgenza di fattori di rischio per diverse patologie, come ad esempio le lesioni da pressione; oltre ad avere conseguenze in termini di costi legati alle ricadute della patologia che portano a ripetuti ricoveri, perdita di autonomia, perdita di relazioni sociali.

La malnutrizione è definita dal Ministero della Salute (2001) come: “…una condizione di alterazione funzionale, strutturale e di sviluppo dell’organismo conseguente allo squilibrio tra i fabbisogni, gli introiti e l’utilizzo dei nutrienti, tale da comportare un eccesso di morbilità e mortalità o un’alterazione della qualità della vita”.

Spesso questa condizione viene sottovalutata: può essere già presente al momento del ricovero ed aumentare durante la degenza, soprattutto nelle persone anziane. In Europa si evidenzia una frequenza della malnutrizione che va dal 10% all’80% tra i nuovi ricoveri negli ospedali ed un suo aggravamento durante la degenza.

In ambito extra ospedaliero la malnutrizione risulta legata all’ambiente in cui la persona anziana vive; i dati riportano una prevalenza che va dal 4% al 10% se abita a domicilio. Aumenta invece del 20% 40% 70% se vive rispettivamente in casa di riposo, ospedale o in una lungodegenza (Ministero della Salute, 2001).

Alimentarsi ed idratarsi sono bisogni primari (secondo Maslow). Un’alimentazione varia ed equilibrata favorisce il benessere della persona e promuove il buon funzionamento del nostro organismo.

Esistono però fattori che influenzano lo stile alimentare di ciascuna persona. Questi fattori vengono classificati in:

  • fattori ambientali: le caratteristiche climatiche possono influenzare la scelta dei cibi;
  • fattori sociali: l’economia della zona in cui si vive può condizionare il consumo di
    cibi (industria, pesca, agricoltura);
  • fattori culturali: tradizioni e cultura caratterizzano lo stile alimentare;
  • fattori economici: le disposizioni economiche, il numero di persone che lavorano all’interno del nucleo familiare determinano lo stile di vita alimentare;
  • fattori psicologici: lo stato emotivo può determinare eccessi o carenze nel consumo di cibo;
  • fattori religiosi: possono determinare restrizioni o addirittura digiuni prolungati.

La soddisfazione del bisogno di alimentazione e idratazione può richiedere, in relazione al livello di autonomia della persona, un intervento di aiuto parziale o totale da parte dell’Operatore Socio Sanitario.

I motivi che portano ad una limitazione o compromissione dell’autonomia possono essere:

  • condizioni fisiologiche: come ad esempio l’invecchiamento che porta ad una graduale compromissione delle funzioni e può essere aggravata dalla presenza di una o più malattie;
  • inabilità fisiche o mentali;
  • condizioni patologiche.

L’OSS ha il compito di preparare la persona all’assunzione del cibo.

Nello specifico:

  • aiutarla a lavarsi le mani e i denti. Un’accurata igiene del cavo orale permette di migliorare la percezione del gusto dei cibi. Alcuni farmaci possono lasciare un gusto di “sapore cattivo in bocca” e causare inappetenza;
  • ventilare il locale e pulire il tavolino su cui verrà effettuato il pasto. Il momento del pasto deve risultare un momento piacevole per la persona assistita pertanto cercare di creare una situazione confortevole eliminando ogni fonte di disturbo;
  • aiutare la persona ad essere una corretta postura. Se possibile il pasto andrebbe consumato in posizione seduta, a letto, in poltrona o sulla sedia per evitare l’insorgenza di polmoniti e soffocamento dovute all’aspirazione di cibi o liquidi nelle vie aeree;
  • controllare e verificare che il pasto corrisponda alla dieta che la persona deve seguire;
  • al termine del pasto annotare e riferire all’infermiere la quantità di cibo e di liquidi assunta e l’eventuale difficoltà a deglutire.

Aiutare la persona risulta importante in quanto assicura l’assunzione del pasto e contribuisce a mantenere, rinforzare e recuperare l’autonomia della persona nel soddisfare questo bisogno.

Assicurare l’assunzione dei pasti da parte dell’OSS significa:

  1. sistemare i piatti e le posate in modo che siano facilmente raggiungibili dalla persona (tenere
    conto di eventuali disturbi neurologici, paresi, fratture);
  2. preparare i cibi, tagliare la carne, aprire le confezioni, aprire l’acqua e versarla nel bicchiere;
  3. imboccare la persona nel caso non fosse autonoma: utilizzando il cucchiaio, rispettando i tempi della deglutizione, alternando cibi solidi a cibi liquidi, formando piccoli boli e se possibile conversando con la persona in quanto ciò permette il tempo alla masticazione, deglutizione e riduce il disagio dovuto alla dipendenza.

L’OSS ha il compito di contribuire a mantenere, rinforzare, recuperare l’autonomia mettendo la persona nelle condizioni di soddisfare in autonomia anche parziale, i suoi bisogni:

  • indicare la disposizione dei cibi nel piatto (non mischiare i cibi per non alterare i gusti);
  • insegnare l’utilizzo di ausili quali ad esempio bicchieri o tazze con il manico, posate con impugnature particolari che si adattano facilmente alla mano.

Particolare attenzione dev’essere prestata in caso di assistenza alla persona affetta da demenza.

Perché può presentare difficoltà o totale incapacità a soddisfare il bisogno di un’alimentazione adeguata che può portare a perdita di peso e malnutrizione.

Alcune regole che l’Oss è tenuto ad osservare nell’approccio alla persona con demenza:

  • offrire alla persona un piatto per volta;
  • fornire posate adeguate alle condizioni;
  • offrire alimenti che non necessitano di essere tagliati, scartati, manipolati;
  • incoraggiare ad usare il tovagliolo;
  • porre attenzione in caso di difficoltà nella deglutizione.

Alimentazione nella persona con difficoltà nella deglutizione.

Ictus, malattie degenerative, tumori possono causare disturbi nella deglutizione. Le complicanze più gravi e più frequenti sono la disfagia dei solidi o dei liquidi o di entrambi, con insufficiente apporto di nutrienti, ed il rischio di aspirazione di alimenti nelle vie respiratorie con comparsa di polmoniti che possono portare anche alla morte.

Nei pazienti disfagici si utilizzano diete con alimenti di consistenza semisolida e risulta fondamentale che l’OSS sia a conoscenza degli alimenti consentiti e degli alimenti da evitare.

Alimenti consentiti:

  • biscotti tipo plasmon o frollini;
  • semolino;
  • creme;
  • budino;
  • yogurt;
  • purea di frutta o verdura.

Alimenti da evitare:

  • minestrine con pastina;
  • legumi;
  • alimenti fibrosi;
  • frutta secca;
  • liquidi.

In genere si utilizzano prodotti addensanti o acqua gelificata per garantire l’adeguata assunzione di acqua e liquidi.

Alimentazione nella persona con stipsi cronica.

La stipsi cronica è spesso frequente nelle persone anziane e può essere correlata a patologie neurologiche, intestinali, assunzione di farmaci ma anche ad una scorretta alimentazione e scarsa attività fisica. È consigliato arricchire, se possibile, l’alimentazione  con cereali integrali, verdura e legumi,frutta e acqua. Sono da limitare l’apporto di farine bianche r zuccheri semplici.

In ogni caso va ricordato che l’alimentazione è una terapia e che la preparazione dei pasti da parte dell’Operatore Socio Sanitario è strettamente correlato alle disposizioni dell’Infermiere che è responsabile della somministrazione e della corretta preparazione dei cibi (fa da garante). Anche l’OSS più preparato (rimane sempre un personale di supporto), pertanto, deve per forza interfacciarsi con chi è titolare dell’assistenza infermieristica.

Nurse24.it

Il giro letti dell’Infermiere e i 7 falsi miti sul corpo umano

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Il giro letti, soprattutto quello del mattino, è uno dei momenti fondamentali per valutare le condizioni generali dell’assistito. In che condizioni sono le ferite cutanee? Il paziente è cresciuto di peso? Oggi il nostro utente è più vigile rispetto ai giorni scorsi? Quali sono le sue condizioni igieniche? Come sono i suoi parametri vitali? Ha dolore? E’ collaborante?

Sono tutte domande a cui l’Infermiere, con il supporto dell’Operatore Socio Sanitario, cercano di dare risposte basate su schemi e scale validate scientificamente e che ci danno un quadro generale sulla forma del paziente.

IgienePaziente

E voi di cosa parlate quando igienizzate il vostro paziente?

Ma siamo sicuri che durante il nostro giro mattutino (o quello del pomeriggio e della notte) siamo proprio attenti al nostro assistito o è vero il contrario? Ovvero non vi è mai capitato di parlare di altro, delle vostre problematiche personali, del collega di lavoro, del medico di turno, del figlio dell’utente, della badante del letto 11? Forse fate l’uno e l’altro senza accorgervene.

Di seguito elenchiamo i 7 falsi miti sul corpo umano di cui noi Infermieri (non sono esclusi gli OSS) parliamo molto spesso durante il lavoro e nelle pause pranzo. Essi derivano da studi reali, anche se spesso sono ripassati dall’opinione di alcuni giornalisti e scrittori (o peggio da quello che si legge si social-network), distanti e distinti dal mondo della sanità e dal sapere scientifico.

I sensi sono solo 5

Oltre a quelli conosciuti, esiste la propriocezione, ossia il senso che permette di stabilire la posizione del nostro corpo e di conseguenza adattare muscoli e articolazioni in tensione in posizione ottimale. Possediamo anche il senso dell’equilibrio e dell’accelerazione, che attraverso l’apparato verstibolare situato nell’orecchio interno permette di adattare al corpo la postura e i movimenti. Tramite recettori sensibili al caldo e al freddo, l’uomo riesce a capire la temperatura dell’ambiente o per sentire dolore entrano in gioco i nocicettori, situati in tutti gli organi e sulla pelle.

L’uomo utilizza solo il 10% del cervello

Questa falsa credenza ha avuto origine con lo psicologo William James, il quale riteneva di sfruttare solo una piccola parte delle nostre risorse mentali; le tecniche di imaging cerebrale hanno dimostrato invece che gran parte del cervello è coinvolta anche durante attività semplici come il dormire. La percentuale ha senso solo se ci si riferisce alla natura delle cellule del cervello, costituite per il 90% da cellule gliali, con la funzione di nutrimento, a supporto di un 10% di neuroni.

Scrocchiare le dita fa venire l’artrite

Il medico americano Donald Unger ha dimostrato il falso sacrificando se stesso per 60 anni, facendosi scrocchiare le dita della sola mano sinistra. Non ha avuto l’artite ed ha vinto nel 2009 il premio IgNobel per la medicina. Questa pratica non ha quindi conseguenze dimostrate e il rumore è dovuto dall’esplosione delle bolle di idrogeno e ossigeno che si vengono a formare nel liquido sinoviale che ricopre e lubrifica l’articolazione.

Le macchie bianche sulle unghie indicano carenza di calcio

Uno studio condotto dall’università di Cardiff ha analizzato le macchie presenti sulle unghie di 82 studenti e le loro abitudini alimentari, stabilendo che non esiste correlazione tra il difetto e l’apporto di calcio nella dieta. I dermatologi, definendo tale problema come leuconichia, hanno affermato che nella maggior parte dei casi sono il risultato di piccoli traumi, ossia bolle d’aria che si formano se si colpisce la matrice dell’unghia, cioè il tessuto che produce la lamina ungueale.

La lingua sente i sapori in zone diverse

I gusti si sentono indifferentemente su tutta la superficie della lingua. L’origine del mito della “mappa dei sapori” risale al 1901, quando lo scienziato David Hanig ha raccontato la sensibilità diversa ai sapori di alcuni volontari. Solo nel 1974, dopo varie teorie, la scienziata Virginia Collings stabilì che la lingua è recettiva ad ogni sapore su tutta la superficie.

Il ciclo mestruale segue le fasi lunari

Se fosse vero, le donne avrebbero il ciclo tutte nello stesso momento. L’idea nasce dal fatto che la durata del periodo che porta alla maturazione della cellula uovo (circa 28 giorni) e la lunazione (29 giorni e mezzo) si assomigliano. Nell’arco di due mesi i fenomeni si sfaserebbero di 3 giorni e dopo 10 mesi di circa 15 giorni, questo basta per capire che non c’è correlazione tra i due fenomeni.

Le unghie crescono anche dopo la morte

Si calcola che le cellule che producono le unghie interrompano la loro attività di crescita 12 ore dopo la morte; la pelle disidratandosi si ritira esponendo maggiormente le unghie. Dopo la morte, cessando l’apporto di ossigeno ai tessuti, non viene prodotto glucosio e termina per questo la crescita cellulare, comprese unghie e capelli.

E ora diteci che non è vero che anche voi, almeno una volta, vi siete cimentati in simili discorsi, dimenticando che al centro delle cure c’è il vostro paziente: quante volte lo avete zittito quando vi chiedeva un bicchier d’acqua? Quante volte non avete valutato attentamente le sue condizioni cliniche? Quante volte avete ignorato i suoi disagi e i suoi lamenti?

Se non vi ritrovate in quello che abbiamo scritto contattateci pure: redazione@nurse24.it

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